“Se su un muro bianco è scritto” questo è un muro bianco” la frase è vera e falsa nello stesso momento“. Il mio caro amico e intelligente scrittore Gershom Freeman ogni tanto si diverte a giocare con le parole, come molti politici, chioserà il lettore, solo che un conto è farlo per denunciarne anche ironicamente le possibili ambiguità, altro è per sfruttarle ingannevolmente. Ma torniamo all’aforisma di apertura: le radici dell’apparente paradossalità della frase di Gershom affondano nel tempo, il sottile e caustico gioco del paradosso ha antesignani illustri. Un esempio lo possiamo riconoscere nella Lettera a Tito di Paolo di Tarso nella quale l’autore riferisce che il cretese Epimenide afferma che tutti i cretesi sono bugiardi, asserendo che tale affermazione è vera. Paolo non comprende che, se davvero l’affermazione fosse vera, Epimenide, in quanto cretese, mentirebbe e, pertanto, i Cretesi non sarebbero bugiardi, ma se non lo fossero non lo sarebbe nemmeno lo stesso Epimenide e la sua denuncia dovrebbe essere paradossalmente vera. Antinomie simili possono essere autoreferenziali, relative al singolo soggetto, per esempio “io sto mentendo” (Eubulide), che però non implica che io sia sempre bugiardo. Altro interessante esempio è “questa frase è falsa” nella quale il paradosso assurge alla massima manifestazione logica.
Molto conosciuto è il paradosso concepito da Diogene Laerzio nel quale un coccodrillo ha catturato un bambino. Alla madre, che lo implora di liberarlo, il coccodrillo propone un terribile dilemma: “Se indovini quello che gli farò ti renderò tuo figlio”, affranta la madre risponde: “Mangerai il mio bambino”. A quel punto il dilemma diventa complesso per il coccodrillo e tragico per la mamma. Se il coccodrillo mangerà il bambino la madre avrà ragione ma il piccolo morirà, in questo modo, però, il coccodrillo non può mantenere fede alla parola data. Nel caso in cui l’intento dell’animale fosse stato di renderlo alla madre questa non avrebbe indovinato le intenzioni del coccodrillo per cui il bimbo non dovrebbe esserle restituito, anzi, finirebbe nelle fauci dell’animale che, se lo mangiasse, darebbe ragione alla madre e dovrebbe renderglielo.
Un altro paradosso logico, elaborato da Buridano, coinvolge due soggetti, nello specifico Socrate e Platone; il primo afferma “Platone dice il falso“, il secondo “Socrate dice il vero“, evidentemente la relazione tra le due affermazioni rende entrambe assurde. Il tutto può anche prescindere dai soggetti, l’assurdo può essere generato da due affermazioni anonime come “la frase che segue è falsa” e “la frase precedente è vera”. Una riflessione che trovo particolarmente rilevante venne espressa da Guglielmo da Ockham che, a mio avviso, comprese che nel concetto di menzogna espresso da una parola, si rimanda inevitabilmente alla sua antitesi, la verità che, pur trovando espressione pur sempre in una parola, riconosce il suo valore ad un diverso livello, un metalinguaggio valoriale indipendente dal linguaggio utilizzato. Insomma, per dirla ancora con le parole di Gershom Freeman “certe parole sono come dei sacchi, devi riempirle perché si reggano in piedi“. Se provassimo a “riempire il sacco” della parola “vero” ci accorgeremmo che molto spesso viene usata per indicare ciò che è in realtà “corretto”. Per esempio: non si può affermare che la frase due più due uguale a quattro è vera, ma semplicemente che è corretta. Essa rispetta le regole convenzionali a fondamento dell’aritmetica alle quali facciamo comunemente ricorso, fatto che non le rende “vere” ma utili, funzionali alla descrizione quantitativa della realtà. Senza trascurare il fatto che il due, la somma, l’uguaglianza ed il quattro non sono fenomeni ma astrazioni della mente, nessuno può farne esperienza, vanno solo pensati, da qui il famoso adagio “la matematica non è un’opinione” che dai più è intesa come, è una verità assoluta, mentre sarebbe più corretto definirla “un’utile convenzione logica condivisa”.
Tornando ai politici ed all’aforisma di Gershom, nel momento in cui qualcuno scriveva “questo muro è bianco” stava affermando una verità che lui stesso rendeva falsa con la propria azione ma che, nel momento in cui aveva deliberato di scrivere, era pur sempre vera! Può essere che accada lo stesso al politico che afferma che farà cose che poi magari non farà? Ma la domanda che segue è: lo scrittore da muri, o writer per gli anglofili, ed il politico agiscono in buonafede? La buonafede è indubbiamente un’attenuante, ma se un meccanico ci garantisse di aver riparato la nostra l’auto però la stessa si rifiutasse di funzionare, pur riconoscendogli onestà e buonafede, lo pagheremmo per il suo lavoro? Ma allora l’unica garanzia è nel tempo, potremmo affermare un simile teorema secondo le indicazioni logiche che, se non ricordo male, rimandano ancora al pensiero di Buridano, e sarebbe pertanto opportuno retribuire i nostri politici solo ad opera compiuta. Resta aperto il problema del concetto di vero: se ti assicuro che domani ti restituirò i soldi che mi hai prestato ma l’indomani non lo faccio, il tutto lascia presumere che io ti abbia mentito, ma se ero certo che sarei entrato legittimamente in possesso della somma e questo, non per colpa mia, non è accaduto? Se l’indomani mi è occorso un impedimento per accedere alla riscossione? O anche solo a raggiungerti per restituirti la somma? O addirittura un incidente mortale me lo ha tragicamente impedito, ciò significa che ero falso il giorno prima mentre ti garantivo la restituzione?
I concetti di onestà intellettuale e competenza sembrano oramai essere stati banditi in troppi ambiti, soprattutto, a mio modo di vedere, all’interno di tutti i dibattiti intorno a questioni di pubblico interesse nei quali gli “opinionisti” non si peritano minimamente di chiarire con “onestà intellettuale e competenza” la questione in oggetto e le varie possibili ottiche con le quali si può osservarla e dirimerla, piuttosto sembra che il fine sia denigrare quella che pare, parrebbe o dovrebbe essere l’opinione altrui. Quante volte ci siamo sentiti sciorinare elenchi di numeri e statistiche con l’arroganza del “fatto”, cioè della verità. Come se, nel caso dell’esempio presentato poco sopra, fosse un fatto la mia disonestà di defunto che non ha restituito la cifra concordata. Ancora una volta mi piace citare il pensatore che ci ha regalato l’aforisma provocatorio di apertura, ma questa volta con una frase carica di un portato gnoseologico ed epistemologico piuttosto interessante. Così afferma Gershom Freeman: “I fatti sono i figli illegittimi di due spirali ermeneutiche” anche se sono assolutamente consapevole che questa chiusa non può essere che un ulteriore protreptico, con buona pace dell’amico Aristotele.
di Ferruccio Masci