
Il conflitto israelo-palestinese è un complesso scontro politico, territoriale e identitario che ha origine all’inizio del XX secolo e si inserisce nel più ampio contesto del conflitto arabo-israeliano. Esso contrappone lo Stato di Israele e il popolo palestinese, ed è caratterizzato da fasi alterne di negoziazione, tensioni armate, occupazioni militari e violenze su civili.
Le cause storiche e politiche principali
Le radici del conflitto risalgono al periodo del mandato britannico in Palestina e all’immigrazione ebraica in aumento nei primi decenni del Novecento. Con la fine della Seconda guerra mondiale e la creazione dello Stato di Israele nel 1948, molti palestinesi furono costretti a fuggire o vennero espulsi, dando origine al problema dei rifugiati palestinesi, una delle questioni ancora irrisolte.
Nel tempo, si sono consolidate quattro principali cause di tensione:
- Definizione dei confini: Israele ha progressivamente occupato territori palestinesi – come la Cisgiordania, Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza – che i palestinesi rivendicano per un proprio Stato indipendente.
- Status di Gerusalemme: città sacra per ebrei, musulmani e cristiani, è rivendicata da entrambe le parti come capitale.
- Insediamenti israeliani: la costruzione di colonie israeliane in territori occupati, considerata illegale dal diritto internazionale, alimenta lo scontro.
- Diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi: milioni di palestinesi sparsi nei paesi vicini e nei campi profughi chiedono il riconoscimento del diritto a tornare nelle loro terre d’origine.
Le tensioni attuali e le difficoltà nei negoziati
Oltre alle cause strutturali, ci sono altri fattori che continuano ad alimentare la violenza:
- Attacchi contro civili, sia israeliani che palestinesi, spesso usati come strumenti di pressione o ritorsione.
- Restrizioni alla libertà di movimento per i palestinesi, soprattutto a Gaza e in Cisgiordania.
- Preoccupazioni per la sicurezza di Israele, che giustifica misure militari e barriere fisiche come difesa contro il terrorismo.
- Violazioni dei diritti umani documentate da entrambe le parti.
Nonostante diversi tentativi di mediazione internazionale, il processo di pace è in stallo. La proposta della “soluzione dei due Stati”, che prevede la creazione di uno Stato di Palestina accanto a Israele, è sostenuta dalla maggioranza della comunità internazionale. Uno studio del 2016 indicava che anche la maggioranza di israeliani e palestinesi era favorevole, ma permane una profonda sfiducia reciproca sulla possibilità di un accordo duraturo.
Attori coinvolti e divisioni interne
Il conflitto è ulteriormente complicato dalla presenza di diversi attori, interni ed esterni:
- Israele, guidato attualmente da Benjamin Netanyahu, mantiene il controllo militare su gran parte dei territori contesi.
- L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), presieduta da Mahmoud Abbas, controlla la Cisgiordania ma non Gaza.
- Hamas, movimento islamista che dal 2007 governa la Striscia di Gaza, è considerato da Israele (e da molti paesi occidentali) un’organizzazione terroristica. La rivalità tra Hamas e Fatah (il partito dominante nell’ANP) ha diviso la leadership palestinese, rendendo difficile un fronte unito nei negoziati.
- Il Quartetto per il Medio Oriente (Stati Uniti, Russia, Unione Europea e ONU) e la Lega Araba sono tra i principali mediatori, insieme a paesi come l’Egitto e il Qatar.
Conclusioni
Il conflitto israelo-palestinese non è una guerra convenzionale, ma un insieme di tensioni politiche, religiose e territoriali che si manifestano in forme diverse: operazioni militari, terrorismo, proteste popolari e pressioni diplomatiche. Finché non verranno affrontate le questioni centrali – territori, sicurezza, diritti umani e riconoscimento reciproco – la pace resterà una prospettiva lontana.