IO SONO DENA
Mi piace questo posto.
È un luogo calmo, con gente per bene che non mi giudica, non mi guarda in modo strano e il lavoro non è faticoso.
Io mi impegno molto, perché ci tengo a restare qui e non vorrei, per nulla al mondo, che mi cacciassero via.
Lo so, non è usuale vedere una ragazza così giovane al bancone, in camicia e jeans, ma nessuno voleva questo lavoro e così mi sono offerta. Effettivamente servire un paio di clienti l’ora non è faticoso, ma sicuramente neanche stimolante.
Però io cerco di fare tutto al meglio: pulisco, servo in fretta, ordino, apro molto presto e chiudo tardi, quando anche l’ultimo ubriacone molla lo sgabello e si toglie dai piedi.
Non ho paura di rincasare sul tardi, perché so che c’è lui che mi osserva e protegge. No, non sto parlando di Dio o di una qualche entità dell’altro mondo; piuttosto parlo di quel bel ragazzo silenzioso che ogni giorno consuma e non paga. Ma a ogni chiusura è lì, nascosto nel buio, lontano dal riflesso della luna, a vegliare che nessuno mi dia fastidio.
Sinceramente il perché non abbia mai pagato non l’ho afferrato bene, ma qui ogni cosa funziona a suo modo e a me non interessa, poi, più di tanto.
A volte mi accompagna anche, seguendomi a debita distanza, finché non varco il portone di casa.
Non mi ha mai parlato.
Il massimo che fa è farmi un cenno con il mento quando entra nel locale, un altro cenno alzando il dito per ordinare uno dei miei distillati, e un cenno toccandosi il cappello quando se ne va.
Dovrei aver paura di uno così?
Mi hanno detto di stare attenta, che è un tipo strano, che non parla con nessuno e che nessuno conosce il suo nome.
A me non fa per niente paura. Anzi, grazie a lui rientro a casa in sicurezza, anche a notte fonda.
Io, sinceramente, credo che lui non sappia che mi sono accorta della sua costante presenza alla chiusura. Forse per questo continua a esserci giorno dopo giorno. Chissà se gli dicessi che so, e che lo so da tanto, se lui continuerebbe a seguire i miei passi.
Che è un tipo strano non ci sono dubbi. Eppure a me piace. Se solo mi parlasse forse potrei fargli capire che potrei anche pensare di rendermi disponibile. Sono timida, sì, ma lui mi piace sul serio.
E chissà se io potrei piacergli. Magari preferisce le biondine del paese suo, oppure le signorine ben vestite, o ancora le ragazze tutte casa e chiesa.
Io, che mi vesto così, un po’ mascolina, sicuramente diversa dalle ragazze del posto, scura, indipendente, indaffarata e sempre a contatto con altri uomini, potrei piacergli?
Eppure di notte, quando dormo, nei sogni più intimi, sento il suo calore avvolgermi come un caldo cencio che avvolge i pargoli. Sento il suo respiro dietro le mie orecchie e i passi della sua compagnia seguire la mia ombra.
Il rumore dei suoi stivali lo riconoscerei ovunque.
Ton, ton, ton fanno i tacchi a contatto con i legni del pavimento tarlato del locale. Sento la cinghia di ferro sbattere e tintinnare sulla pistola, a ritmo scadenzato. Sento il suo sguardo, da dietro, sciogliermi le trecce, accarezzare dolcemente la nuca e scendere lungo la schiena arcuata e soffermarsi sul retro dei pantaloni, come a voler vedere oltre il tessuto.
E sento il suo odore forte, di polvere da sparo, di letto sfatto, di stalla, di grasso per la pelle della cintura, di metallo, whisky e di solitudine. Quella solitudine che non va via dalla pelle e dalle membra. Quella solitudine che anche il deserto, in confronto, sembra un luogo vivace e vitale. Quella solitudine che scava le rughe del viso e fa bere, quanto più liquido anestetizzante il corpo può contenere, tanto da arrivare a vomitare ed essere contenti di non ricordare niente del giorno prima e rimanere confusi per tutto il giorno seguente. E poi ricominciare nuovamente, in un ciclo di indifferenza, nostalgia e abbandono.
Ma perché non mi parla?
Io sento di avere un legame che viene da lontano con lui, seppure siamo di differenti etnie.
Io provengo da un villaggio che i locali, qui, chiamano indios. Da uno di quei posti dove, a distanza di sguardo, lungo il deserto, salgono i fumi dei fuochi accesi e le tende fanno da dimora per gli abitanti. Uno di quei luoghi dove la gente ha la pelle più scura, gli occhi profondi e una connessione con l’ambiente diversa dalle persone bianche.
È un caso eccezionale che io, di quella etnia, possa vivere qui, in questo villaggio pacifico di bianchi. Non so se mi manca quella vita lì, non la conosco. Abito qui da sempre, da quando un mio simile mi ha portata in questo villaggio e lasciata al parroco della chiesa, per essere cresciuta in un luogo pacifico.
Lui, invece, è arrivato qui dopo di me. Eppure, dalla prima volta che l’ho visto, ho sentito come un senso di familiarità con lui. Come se ci fossimo già conosciuti oppure come se guardassi un mio simile, anche se esteticamente siamo molto diversi.
Non scorderò mai quel giorno del primo incontro come forse non accadrà mai che i nostri destini si intreccino in qualche modo.
Questo, forse, può saperlo solo il Signore. E chissà cosa ha in serbo per me, per la buona e disponibile Dena, per la sfortunata bambina abbandonata dal proprio popolo…