Del più grande poeta dell’Ottocento si ricordano soprattutto i Canti e i “grandi Idilli“, ma la produzione leopardiana vanta un immenso ed incredibile patrimonio di scritti (dalla prosa ai versi).
Oggetto di studio (sia per i grandi studiosi che per i ragazzi tra i banchi di scuola) è il lungo carteggio che lo scrittore intrattiene (sin dal 1817) con l’amico Pietro Giordani. Giordani è uno dei più grandi intellettuali del suo tempo e in esso il poeta ritrova le mancate attenzioni e il carente affetto paterno, nonché una guida intellettuale.
E’ proprio a Pietro Giordani che Leopardi confida i suoi tormenti interiori, una sofferenza sostanziale che si manifesta violentemente in un clima avverso sia sotto il punto di vista fisico che psichico. La lettera oggi riportata, mostra un evidente stato di abbandono e solitudine, emerso a seguito della fuga sventata dal conte Monaldo (padre di Leopardi) nell’estate del 1919 e acuito da invalidanti problemi alla vista che impediscono all’autore di rifugiarsi e trovare conforto negli studi e nella lettura.
Questo estratto rappresenta sicuramente le cause del pessimismo leopardiano, ma allo stesso tempo dimostra che i momenti di amara ed angosciosa consapevolezza diventano, per il poeta, luogo di grandi riflessioni filosofiche.
Giacomo Leopardi, Lettera a Pietro Giordani, 19 Novembre 1819
“Sono così stordito del niente che mi circonda, che non so come abbia forza di prendere la penna per rispondere alla tua del primo. Se in questo momento impazzissi, io credo che la mia pazzia sarebbe di seder sempre cogli occhi attoniti, colla bocca aperta, colle mani tra le ginocchia, senza né ridere né piangere, né muovermi altro che per forza dal luogo dove mi trovassi.
Non ho più lena di concepire nessun desiderio, neanche della morte, non perch’io la tema in nessun conto, ma non vedo più divario tra la morte e questa mia vita, dove non viene più a consolarmi neppure il dolore. Questa è la prima volta che la noia non solamente mi opprime e stanca, ma mi affanna e lacera come un dolor gravissimo; e sono così spaventato dalla vanità di tutte le cose, e della condizione degli uomini, morte tutte le passioni, come sono spente nell’animo mio, che ne vo fuori di me, considerando ch’è un niente anche la mia disperazione.”
di Alessandra Ercolino