Non ha l’imperativo il verbo amare
“Il cuore ha una ragione che la ragione non può comprendere“, bisogna riconoscere all’amico Blaise Pascal di essere riuscito in una sintesi perfetta del suo pensiero e di aver anticipato la nostra rubrica, infatti la ragione del cuore è una “ragione altra” esattamente come “uno sguardo altro” che cerchiamo di generare. Allora fermiamoci a riflettere: se è corretta la tesi di Pascal come potremo mai capire se siamo davvero innamorati? Se quello che proviamo è vero amore? Eppure quando siamo innamorati lo sappiamo con assoluta certezza, non è una cosa che si impara e decisamente non la si può insegnare.
Il problema nasce quando ci chiediamo se siamo davvero innamorati o se quello che proviamo è corretto oppure no. Come fa affermare ad un suo personaggio un grande autore teatrale contemporaneo: “Non esistono leggi nell’amore, l’amore non può mai essere corretto oppure da evitare, l’amore è amore oppure semplicemente non lo è, e non c’è null’altro da comprendere”. Ma allora, se l’amore non ha regole, non soggiace alla ragione convenzionale ma la trascende, insomma, se è una forza libera ed assoluta, sarà mai possibile controllarla?
Potrei mai impormi di amare? Credo sia impossibile per chiunque! Una carissima amica mi disse: “Non esiste l’imperativo del verbo amare” e credo sia pleonastico precisare che non si trattava di una svista grammaticale. Va bene, allora rovesciamo di nuovo il ragionamento: se essere liberi significa poter scegliere mentre l’amore è incontrollabile, cioè non ci consente di decidere, ciò significa che quando si ama non si è liberi? Oppure che la scelta la si compie nel momento in cui ci si consegna alla possibilità di amare? Decisamente il problema sembra complicarsi piuttosto che risolversi!
Proviamo a ricorrere alle parole illuminanti di Paulo Coelho quando sostiene che “l’amore è sempre nuovo”. È probabile che abbia assolutamente ragione, in effetti nella vita può capitare di innamorarci più di una volta, anzi, per molti versi è augurabile … in altri si preferirebbe poter far durare il sentimento per tutta la vita, ma il senso è che quando ci si trova di fronte all’amore anche un’eventuale esperienza precedente non ci può soccorrere minimamente, figuriamoci se vissuta da un altro. Insomma, quando si incontra l’amore è sempre una prima volta e, contemporaneamente, ha il sapore del per sempre e del mai più.
Credo sia possibile fare nostre le parole di un grande artista e filosofo contemporaneo: “Vivi ogni istante con lo stupore della prima volta e l’intensità dell’ultima e farai della tua vita un capolavoro”, fuor di metafora, se vuoi vivere davvero non puoi che amare, che altrimenti la tua vita sarà mediocre spreco di tempo ed opportunità di felicità. Resta da chiarire l’altra faccia della medaglia appena presentata agli occhi di chi legge, quindi, ancora una domanda: com’è possibile sapere se ciò che provo è amore vero? Certo, già abbiamo capito che l’amore non può essere vero o falso, nel secondo caso semplicemente non sarebbe amore, ma come faccio a sapere se è vero? Una possibile risposta potrebbe essere espressa da un’ulteriore interrogativo: sai desiderare la felicità di chi ami come radice della tua? E ancora: sai accettare che chi ami sia ciò che è (si sente di essere) in quel momento al di là delle tue aspettative? Per essere ancora più espliciti: pensi che siccome ami allora chi è oggetto del tuo sentimento abbia dei doveri verso di te o non ne abbia tu verso di lei/lui in quanto ogni cosa che desideri è ciò che è desiderato da lei/lui? Se il tuo atteggiamento è: poiché ti amo allora tu devi … stai certo, quello non è amore, ma se, al contrario, respiri profondo il tuo piacere di dare perché la sua gioia è il regalo più bello, allora non avere dubbi, quello è amore.
Theodor Seuss Geisel, meglio noto con lo pseudonimo di Dr. Seuss, il creatore di Ortone e del Grinch, afferma che “Sai che sei innamorato quando non vuoi addormentarti perché la realtà è migliore dei tuoi sogni”. È una sintesi formidabile, condividere un sentimento intenso e definitivo come l’amore significa felicità pura, sentirsi esattamente come si può desiderare di essere solo nel più luminoso dei sogni, non chiedere al partner di essere ciò che si desidera per noi ma essere felici di ciò che si diviene nell’istante in cui ci sorride. Si tratta di frammenti di eternità, istanti che hanno il sapore dell’infinito, senza bisogno di nulla di contingente poiché ogni dettaglio si trasforma in pura emozione, quella magia che cancella il tempo e lo spazio, che non ti lascia nemmeno il bisogno di misurarla con la sua durata, con il suo manifestarsi, l’amore è, anzi, coincidenza con l’essere. Per dirlo con le parole di Nietzsche: “Il vero amore pensa all’istante e all’eternità, mai alla durata”, addirittura potremmo proseguire lungo la via nietzscheana fino ad affermare che l’amore “è sintesi di istante ed eternità”, non ha senso chiedersi “fin quando” una volta trasumanati nell’estasi meta temporale.
A questo punto diventa indispensabile distinguere l’amore, che è una forza priva di soggetto, dall’amare, che non può prescindere dalla transitività del verbo. Questa ulteriore complicazione proverò a risolverla con una sottile definizione di un filosofo e scrittore contemporaneo: “L’amore è il cerchio, l’amare il poligono iscritto, tanto più numerosi saranno i suoi lati tanto maggiore sarà la sua approssimazione al cerchio”. Provo a sviluppare la metafora: il cerchio è stato, è e sarà sempre uguale a se stesso indipendentemente da quale sia il poligono inscritto, ma noi siamo gli autori del poligono e con esso ci misuriamo nell’impresa di avvicinarlo alla circonferenza per goderne della perfezione.
La costruzione del poligono va realizzata in due (o più, se qualcuno ci dovesse mai riuscire), insomma, ogni lato è l’effetto di un viaggio condiviso, amare coinvolge due o più persone “reali”, nel senso che sono qui ed ora, in un tempo e uno spazio che non hanno scelto ma che li determinano anche nei modi e nei tempi dell’amare. Allora per amare devo esser-ci, consapevolmente, non annullarmi per l’altro, la conflittuale reciprocità degli attori diviene imprescindibile.
Che fare? Ascoltare le radici dell’istinto che reclamano un’autoreferenziale soddisfazione dei personali bisogni primari? Lottare per liberare un’emozione dalle regole socio culturali nelle quali si trovano gli interpreti della stessa? Concedere all’altro/a di divenire meraviglia ai miei occhi per permettermi di intridermi di tanta luce esplorando territori anche personali nemmeno mai pensati ed ora esperiti tenendo per mano un/a compagno/a di viaggio? Fidarmi assolutamente di chi amo o conservare sempre in un angolo del cuore una via di fuga? Riuscirò a godere davvero dell’assoluto se non mi lascerò alle spalle la paura di una fine, di rimanere solo/a irrimediabilmente, avendo perso l’unica forza capace di collocarmi al centro del senso del vivere? È bene rimuovere la determinatezza dell’oggetto d’amore sublimandolo o rimanere ancorato a gesti, odori, colori del momento e di chi amo? Riuscirò a non aver paura di “vedere l’essenza profonda” di chi amo cogliendo nel contempo l’inattesa consapevolezza di me? Saprò osservare l’abisso senza lasciarmi vincere dal terrore di esserne inghiottito?
Amare è l’esperienza più complessa e meravigliosa concessa o conquistata dall’essere umano, uno degli elementi fondamentali che lo distinguono dal nulla o dal tutto uniforme, è un grido taurino dionisiaco che celebra “l’io sono” nello stesso istante in cui ti permette di divenire un dono scoprendo il regalo che stai ricevendo.
di Ferruccio Masci