“L’Infinito” di Giacomo Leopardi fu composto a Recanati nel 1819 e pubblicato nel 1825 sul periodico bolognese “Il Nuovo Ricoglitore”. Nel 1831 venne infine inserito nei “Canti”.
Testo
Sempre caro mi fu quest’ermo colle, 1
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani 5
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce 10
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare. 15
Commento
- quest’ermo colle: questo solitario colle (monte Tabor, vicino a Recanati)
- che da tanta parte…esclude: che impedisce alla vista di scorgere gran parte dell’estremo (ultimo) orizzonte.
- mirando: non significa guardare verso l’esterno, ma contemplare una realtà interiore, creata dall’immaginazione. Nello Zibaldone (28 luglio 1820) si legge: “L’anima si immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario.“
- interminati spazi…mi fingo: io immagino nel mio pensiero spazi infiniti e silenzi non percepibili dall’esperienza umana e una profonda quiete.
- ove per poco il cor non si spaura: dove il cuore prova un senso di paura (suscitata dalla percezione dell’infinito evocato dall’immaginazione).
- e come il vento… comparando: e quando sento stormire il vento fra queste piante, paragono quel silenzio infinito (dell’immaginazione) a questo rumore.