“In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla testa dell’aviatore, io sentii l’inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino! Questo ha naturalmente, come ogni imbecille, una testa previdente un ventre, due gambe e due piedi piatti, ma non avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre un momento e fermarsi quasi subito sbuffando! Ecco che cosa mi disse l’elica turbinante, mentre filavo a duecento metri sopra i possenti fumaiuoli di Milano.”
Con queste parole l’11 Maggio del 1912 Marinetti teorizza il “Il manifesto tecnico della letteratura futurista”. Le parole legate all’eredità della tradizione latina sono all’impasse, possono a malapena camminare, arrancano a fatica. Di cosa hanno bisogno allora le parole per poter tornare a vivere o meglio… volare? Due ali, appunto.
Da qui nasce lo stile letterario conosciuto come “Parole in libertà” o “Paroliberismo”, che si identifica in una profonda rottura con tutto ciò che rappresenta il passato, annesse cultura e tecniche di scrittura.
Scompaiono i sentimentalismi, le donne- angelo dagli amori impossibili, le muse ispiratrici dei più grandi scrittori del passato. Nessuna Beatrice o Laura o Fiammetta all’orizzonte, i futuristi sono ispirati da eliche turbinanti, macchine ed elettricità. Le dolci parole che Leopardi dedicava a Silvia si trasformano improvvisamente in venerazione per un lampione, ad esempio.
Questo manifesto, che desta molto scalpore e crea scompiglio tra i suoi contemporanei, scardina, ribalta, abolisce, distrugge un’intera tradizione poetico letteraria.
I punti cardine sui quali si basa la nuova “letteratura futurista” sono: la distruzione della sintassi, l’utilizzo dei sostantivi disposti sulla pagina in modo totalmente casuale, l’abolizione dell’aggettivo e dell’avverbio, l’utilizzo del verbo all’infinito, e l’abolizione della punteggiatura, ma sono ammessi segni matematici e note musicali. Fino ad arrivare alla distruzione, all’eliminazione dell’“IO” nella letteratura: l’uomo intrappolato nella logica e nella saggezzanon suscita più alcun interesse, bisogna dunque ometterlo.
La poesia futurista contempla inoltre la tecnica della poesia visuale, una sorta di calligramma: un componimento poetico creato per essere guardato oltre che letto. Il disegno che accompagna il testo poetico mira generalmente a raffigurare l’oggetto descritto dal poeta. Questa tecnica è utilizzata negli stessi anni da Apollinaire che, ad esempio, in una poesia dedicata alla pioggia: “Il pleut” scrive il testo in modo trasversale al foglio, in modo da imitare le linee di pioggia su una finestra.
Nella poesia futurista non deve meravigliare l’utilizzo delle onomatopee, suoni linguistici che riproducono suoni, versi di animali o rumori; basti pensare alla raccolta poetica di Marinetti del 1914 “Zang Tumb Tumb” un’onomatopea che riproduce il rumore di un cannone che viene caricato e poi scarica il colpo.
La chiusa del Manifesto è rappresentata da parole che esprimono forse i concetti più strani e dissennati:
“Poeti futuristi! Io vi ho insegnato a odiare le biblioteche e i musei, per prepararvi a ODIARE L’INTELLIGENZA, ridestando in voi la divina intuizione, dono caratteristico delle razze latine. Mediante l’intuizione, vinceremo l’ostilità apparentemente irriducibile che separa la nostra carne umana dal metallo dei motori. Dopo il regno animale, ecco iniziarsi il regno meccanico. Con la conoscenza e l’amicizia della materia, della quale gli scienziati non possono conoscere che le reazioni psico-chimiche, noi prepariamo la creazione dell’UOMO MECCANICO DALLE PARTI CAMBIABILI. Noi lo libereremo dall’idea della morte, e quindi dalla morte stessa, suprema definizione dell’intelligenza logica.”
Le idee dei futuristi, spesso insolite, bizzarre e un po’ fuori le righe, hanno certamente il merito di aver sdoganato un nuovo modo di fare poesia, lontano dai dettami di una poesia obsoleta e collocata temporalmente in epoche lontane dai loro contemporanei.
Basti pensare che molti scrittori, anche di grande calibro, che non aderiscono apertamente al futurismo, ne traggono però dei benefici. Lontani dai canoni imposti dalla tradizione e dai condizionamenti formali metrici, gli scrittori del nuovo millennio possono aprire le porte al verso libero, grande protagonista nel nostro ‘900.
Un esempio fra tutti: Giuseppe Ungaretti, che nella sua prima raccolta di poesia elimina la punteggiatura.
di Alessandra Ercolino