LO STRANIERO DILEGUATO
Ogni tanto mi capitava di pensarci.
Davvero le persone avevano timore di me?
Cosa avevo fatto per meritarmelo?
Era, questo, un fattore positivo? O lo percepivo come tale perché mi permetteva di stare in silenzio ovunque, senza dovermi sforzare, per forza di cose, nel conversare?
Lo trovavo un lato della mia presenza, qui, interessante.
E credo che anche Dena lo reputasse così.
Ogni suo sguardo, di sfuggita, mi faceva sentire più vivo. Ogni parola da lei pronunciata, nei miei confronti, era come la punta di un pugnale poggiato sulla schiena. Tremendamente gelido, ma così incisivo da mettere i brividi. Una sensazione di angoscia ed eccitazione mi permeavano il corpo, ad ogni sua sillaba.
Eppure non le avevo, ancora, mai parlato. Il massimo che mi concedevo di fare era sollevare leggermente il cappello, fissarla di sbieco e alzare il sopracciglio; quello, dei due, meno visibile.
A lei credo piacesse…
E poi, prima o poi, una parola l’avrei detta. La tenevo a mente, per non scordarla. Me la ripetevo in testa prima di entrare nel locale e ogni volta che ne uscivo, mentre sorseggiavo e quando, anche se per poco, rimanevamo soli. In ogni caso, mica ero un codardo.
Anche se, quel “hey”, ancora non ero riuscito a dirlo.
Ricordo che, mentre pensavo a tutto questo, e mentre le persone erano ancora intente nel cercare il figlio di Kate Jones, mi tagliò la strada, pensando l’avesse fatto di proposito, lo straniero nuovo.
Uscì di corsa dal villaggio, in direzione del cerchio di sassi, ma non feci in tempo a raggiungerlo che già si era dileguato.
Tutto questo – la scomparsa del bambino, lo straniero, il cerchio di sassi – rendeva quella giornata dall’animo lento, davvero misteriosa.
Il sole era quasi all’orizzonte quando trovarono il bambino, intontito, rinchiuso nel solaio della sua abitazione e io, irrigidito dalla sparizione del fugace straniero, mi sentivo, da un lato, come più leggero, dall’altro avevo come un pessimo presentimento.
Chi era quell’uomo? Da dove veniva? Che intenzioni aveva? Ma, soprattutto, come era riuscito a lasciare, nella stessa giornata, questo villaggio?
C’era gente che ci provava da anni.
La coltre di polvere che si alza nel deserto, nei giorni di vento, rende l’atmosfera ancora più inquietante di quanto già non lo sia, considerando i tanti scricchiolii delle insegne delle botteghe, gli ululati dei coyote e il silenzio tombale, in strada, non appena scende il buio.
Mi diressi, in modo quasi inconsapevole, verso il cerchio di sassi e non mi stupii del fatto che trovai l’area sgombera.
D’altronde si era taciuto sulla strana composizione già dalla mezza. A qualcuno deve aver dato molto fastidio.
Rimasi lì per un po’, cercando di capire da dove potessero provenire quei sassi, cercando qualche impronta o qualche indizio che mi potesse far venire un’idea, riguardo l’accaduto.
Non mi venne in mente nulla, così mi sedetti su un pezzo di carro abbandonato lì da anni.
I cactus fischiavano, al contatto con il vento.
Riempivo i polmoni di polvere.
Gli occhi cominciavano a essere stanchi.
E sopra di me il cielo iniziava a mostrare le prime lucine dei corpi celesti più luminosi.
di Fabio Valerio