Un giorno lento (puntata 26)

IL CERCHIO DI CIELO

“Dai non fare così”

“Ahahahahah forza corri!”

“Dai che mi fai cadere”

“Sei una lumaca!”

“Ahia!”

Una scivolata, il rumore dei sassi, il tonfo.

Apro gli occhi e non vedo nulla, o quasi.

Sento il sapore della terra in bocca e un male forte alla gamba. Ma in realtà sono pieno di graffi e

tagli. Ho un rigolo di sangue sul mento che sento scivolare e avvicinarsi verso la bocca. Sì, è

proprio sangue.

Cavolo, sono a testa in giù e mi fa male la testa.

Sento il mio amico piangere, strillare il mio nome e chiedere scusa. Il petto preme addosso alla terra

bagnata e non riesco a parlare, fa tutto un male cane.

Sento, per quel poco che riesco a muovere le mani, le radici degli alberi umide. Provo a capire dove

sono, cercando di vedere qualcosa, ma c’è solo terra. Giusto dietro di me intravedo un piccola

porzione di cielo.

Le urla del mio amico si fanno più insistenti e allora, con un piccolo sforzo, faccio uscire un pò di

voce, nonostante la gola mi sembri compressa tra mento e busto.

E’ spaventato, come lo sono anche io d’altronde. Possibile che sono caduto in un buco così

profondo? Ma perché? Perché proprio a me?

Non ci credo, non posso crederci…

Intanto la testa scoppia e il mio amico si fa un po’ più silenzioso. Gli ho chiesto di andare a

chiamare mia mamma, ma è ancora lì. Non lo vedo ma lo sento. Sento che non si è allontanato.

Forse vuole tenermi compagnia.

Lo chiamo di nuovo, gli dico di non preoccuparsi e che la colpa non è la sua. Gli chiedo

nuovamente di andare a chiamare mamma.

Stavolta credo sia andato.

Se riuscissi ad allungare almeno un braccio, se riuscissi a girarmi almeno un pò, forse potrei

respirare meglio.

La testa si fa sempre più pesante e i pensieri più lenti e ripetitivi. Il cervello batte forte e le forze,

man mano, tendono ad abbandonarmi.

Provo di nuovo a chiamarlo. Una, due, tre volte. Non risponde.

Allora sì, è sicuramente andato a chiamare mia mamma.

Le voglio tanto bene e inizio a sentire un po’ di dispiacere. Ho paura. E mi dispiace. Ho paura che

non riesca a tirarmi fuori da qui, ho paura di non farcela, di morire.

Vedo il sole far entrare meno luce, sta facendo buio…

Mi dispiace mamma, non vorrei lasciarti ma credo che non riuscirò a uscire da qui. Sto scivolando

ancora un po’ e non riesco a frenarmi, sento una grande debolezza assalirmi.

La voce si fa più flebile e con un ultimo sforzo chiamo nuovamente il mio amico.

Lo sento piangere…

E’ ancora qui, non riesce a lasciarmi da solo. Le sue lacrime, insieme a qualche sassolino mi

raggiungono; percepisco il suo dolore, sento che mi sta osservando.

Le energie stanno abbandonando quasi completamente questo corpo, non riesco più a muovere le

mani e a tenere gli occhi aperti. I pensieri sono annebbiati e l’unica cosa che riesco a immaginare è

il viso di mia madre, ora.

So che non andrai mai a chiamarla, amico mio, ma ti perdono. Sì, ti perdono.

Non sono arrabbiato con te. Non lo sarò mai.

L’ultima immagine vista è il cerchio di cielo al crepuscolo, il momento in cui di solito tornavo a

casa a riabbracciare mamma e sentire il calore e l’odore di casa, e in cucina ribolliva la pentola di

zuppa calda in attesa della cena; gli abbai del cane, il pianto di mia sorella, papà che rientrava dal

lavoro, il fuoco acceso e il mio amico che da lontano mi salutava, dandomi appuntamento al giorno

dopo.

Vi voglio bene, a tutti. Ciao mamma, a presto…

Di Fabio Valerio

@erofaalbivio

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