Un giorno lento (puntata 18)

LA NOSTALGIA DI PROVARE MALINCONIA

Conoscendola so che ne avrebbe sofferto.

Eppure se n’è andata prima di insegnarmi il segreto, prima che io avessi avuto il tempo di tornare da lei.

Come era possibile decidere di tornare sulla terra ferma, dopo aver vissuto in paradiso per così tanto tempo?

Il mio animo era colto da imbarazzo, nell’immaginare il via vai frenetico dei cittadini; da timore, nel non poter più sentire il suono delle onde del mare infrangersi contro la scogliera, durante le fresche notti di giugno; da agitazione, dovuta al senso di smarrimento, pensando a quando mi ritroverò a un palmo dal naso dai palazzoni grigi; da nostalgia, una strana nostalgia nel provare malinconia per un luogo non tuo.

Quel piccolo involucro, fermo al medioevo, abitato solo da pescatori, uomini sinceri.

Un pezzo di terra galleggiante, povero e sano, umile e ricco di vita, condito da relazioni vere, amori spontanei e panorami meravigliosi. Un luogo abbandonato da Dio, o forse protetto, chi lo sa?

Lasciare queste sponde è il dolore più grande che io possa provare, a parte la sua morte.

Perché sento ancora vivo il desiderio di conoscere la regola, il segreto, che mi possa permettere di lasciarmi tutto alle spalle e guardare avanti.

Ma sento il cuore venirmi fuori dal petto. So che non dovrei voltarmi indietro, ma tutti mi ricordano casa, qui.

Lei, le sue storie, i suoi sorrisi e quella regola.

Mi ricordo le strade e i viottoli che portano in spiaggia, il ponte, la vista, il palazzo, il cielo stellato.

Penso al mio amico, così giovane, così forte, così amico, così dannatamente sfortunato.

Agli anziani, alle reti da pesca, al danzare del pontile durante la burrasca, allo scricchiolio delle barche, alle case basse e colorate, al poco cibo ma incredibilmente vero e così piacevolmente condivisibile.

Non posso lasciare questa isola. Quali sono le cose da fare per non soffrire più così?

Dicono si tratti di ricordi antichi, che ci riportano a un tempo passato, lontano, più lontano del ricordo storico, quando la civiltà umana era un ristretto gruppo di persone, che vivevano in pace, in un luogo bellissimo, al centro dell’oceano.

E come potrei, io, cancellare quel ricordo così, ancora, vivo nei miei tessuti e nelle mie membra, e abbandonare tutto il dolore che ho provato qui?

Sì, è l’abbandonare il dolore la cosa più difficile.

Ti avevo promesso che sarei tornato in tempo, ma non ci sono riuscito. Non mi hai aspettato. Non ti ho neanche detto che ti amo.

Al mio ritorno eri lì, bianca, stanca, seria. Perché?

Perché? Seria non lo sei mai stata.

Il tuo rumoroso ridere era il sale del vicinato. La tua allegria, il tuo voler fare, divertirsi, lasciarsi andare.

Quel bacio dato sottocoperta, la tua treccia che scorreva spensierata sulle spalle nude, il vestito largo che faceva intravedere parti di pelle abbronzata, lo sguardo malizioso, le orecchie scoperte, il sapore del sale sul tuo collo e le tue mani su di me, sono immagini incancellabili nella mia mente.

Il tuo odore, la forma del dorso dei tuoi piedi, quello scorrazzare scalza sulla pietra dura del porto… Io ti amo e ti amerò per sempre. Addio.

Così immagino il salto dalla rupe.

Non voglio lasciare questi posti.

Non voglio lasciare questa isola.

Non voglio lasciare i miei ricordi.

Poi, in attesa di prendere coraggio e far crescere le ali, mi ritorni in mente anche tu, amico mio.

Piccolo come me ma fisicamente più minuto.

Però capace, perspicace, furbo e intelligente.

Sveglio, scaltro, simpatico, giocherellone e coraggioso.

Così coraggioso da non darmi la colpa neanche nel momento peggiore, neanche quando sapevamo entrambe che non sarebbe andato per niente bene. Sono sicuro, te lo giuro, che se potessi tornare indietro, prenderei il tuo posto.

Perché tu meritavi più di me. E io di questo ho sempre sofferto.

Ecco perché, forse, non sono mai riuscito a raccontarlo.

E cancellare le mie parole mi ha dato la possibilità di tenerti stretto nel mio cuore e di tenere questo segreto con me.

E questo segreto oggi volerà via con me, come un colombo che sorvola il mare e lascia cadere dal becco il ramo di ulivo.

Di Fabio Valerio

@erofaalbivio

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