E così, anche il campionato 2021/22 è andato in archivio. Un’annata strana, di transizione per molti aspetti e per molti soggetti, che lascia in dote più sbuffi che gioie. Questa stagione è e deve essere sinonimo di bagno di umiltà per il calcio italiano, che in pochi mesi si è ritrovato dal tetto d’Europa a vedere il Mondiale dal divano. A riprova che nel calcio di oggi nulla è scontato, non esistono (quasi) più zone del mondo che esprimono squadre cuscinetto e la trappola è dietro l’angolo.
Probabilmente è inutile anche rilanciare il discorso di far giocare di più i giovani italiani, mentre bisognerebbe pensare a come rimanere, o meglio, tornare, competitivi sulle questioni pratiche, dall’ammodernamento di stadi e strutture di allenamento ai programmi di tenuta fisica dei calciatori, a un’idea di gioco la cui evoluzione ha da troppo tempo baricentro altrove. Bisognerebbe pensare, chinare la testa, e fare. Tutto qui.
Invece in Italia si parla, si sparla e ci si lamenta, mentre gli unici a poter riservare un ghigno di soddisfazione a favore di telecamera, ognuno nel proprio stile comunicativo, sono i due allenatori che più di ogni altro hanno saputo tirare fuori il meglio a disposizione (nulla di eccelso in entrambi i casi), compattare un gruppo e spingerlo avanti fino alla fine senza soffermarsi troppo sui dettagli, i difetti e le parole di contorno: Pioli, Mourinho e Nicola.
Per tutti gli altri, amarezza, pive nel sacco e what if…
Contro ogni pronostico, lo scivolone dell’Inter nel recupero infrasettimanale ha regalato la testa della classifica al Milan, che non l’ha persa fino alla fine, nonostante il rush finale abbia visto due compagini quasi perfette. Il tabellone finale recita: Milan 86 e Inter 84. La quota scudetto ribassata rispetto agli scorsi anni non è stata sinonimo di un livellamento dei valori, intanto perché i Nerazzurri sono rimasti ampiamente competitivi pur perdendo i due uomini migliori dell’annata vincente precedente, in secondo luogo perché il Milan è rimasto praticamente identico alla stagione prima, ma ha vissuto un’annata positiva che ha consentito di portare a maturazione quello che era tutto il potenziale latente.
In ultimo, perché non ci sono state altre squadre in grado di inserirsi seriamente nella lotta tra le milanesi. Pareva potercela fare il Napoli (79), che poco prima delle giornate decisive è inciampato su se stesso e sul complesso di inferiorità nei confronti dello Scudetto che permea tutta l’era De Laurentiis. Non ci è riuscita una Juventus (70) troppo spesso inconsistente sia dal punto di vista del gioco sia della personalità. Nonostante ciò, sembrava poter rientrare dopo l’arrivo di Vlahovic, ma ha infine centrato soltanto un grigio e meritato quarto posto, obiettivo minimo per una rosa e una società del genere.
Il secondo gruppo, in lotta per i piazzamenti europei, ha invece terminato la sua zoppicante corsa con un certo rimescolamento degli equilibri. Se le romane confermano la loro presenza nelle competizioni UEFA (la Lazio grazie al quinto posto con 64 punti, la Roma sia in virtù del sesto con 53 sia della vittoria della Conference League), l’Atalanta esce clamorosamente dal club delle rappresentanti europee, non riuscendo ad andare oltre l’ottava piazza con 59 lunghezze. Rappresentanti che, dopo qualche anno di assenza, riabbracciano l’interessante Fiorentina (settima con 60 punti) di Italiano, brava a non perdersi per strada dopo l’addio del suo bomber.
Le posizioni più comode e meno pretenziose del tabellone, quelle dalla nona alla tredicesima, rispecchiano perfettamente il valore delle squadre che li occupano, superiori sia sulla carta sia nelle dimostrazioni date sul campo rispetto alle inseguitrici, e in grado di mettere in forte difficoltà anche le big.
Specialmente Sassuolo e Verona, ma in alcuni frangenti della stagione anche Bologna, Udinese e Torino, hanno pienamente dimostrato che sulla partita singola nemmeno le migliori sono al sicuro, e nel caso di un momento particolare di forma rischiano perfino brutte figure. Ognuno di questi team ha fatto vedere un buon calcio, spensierato e offensivo, senza perdere di solidità, oltre a lanciare prospetti (Scamacca, Raspadori, Udogie, Lukic, Svanberg, Casale per fare alcuni esempi) e rivitalizzare talenti (Caprari e Deulofeu su tutti).
Quattordicesimo in solitaria a 41 punti si trova l’Empoli di Andreazzoli, che ha vissuto sugli allori di un’ottima prima parte di stagione a livello di punti, ma non di gioco, scendendo in campo sempre con mentalità propositiva e scoprendo interpreti interessanti per il futuro, tra cui Parisi, Asslani e Pinamonti.
Più duro il cammino di Spezia e Sampdoria, che più di una volta si sono ritrovate impantanate nella zona retrocessione, salvo riuscire a raggranellare i punti necessari a una salvezza tutto sommato tranquilla, raggiunta con un paio di giornate di anticipo. Se la squadra di Motta ha fatto del cinismo negli scontri diretti la sua forza, la Samp di Gianpaolo poteva contare su una rosa e un’esperienza davvero troppo sproporzionata per finire in B (basta pensare a giocatori come Candreva, Quagliarella o Ciccio Caputo).
Incredibile ma vero, il diciassettesimo posto, l’ultimo utile per la permanenza, se lo è aggiudicato la Salernitana. Una squadra data per morta, che per tutto il girone di andata non era nemmeno in regola con l’iscrizione, risollevata da una serie di acquisti folli e visionari, dall’incredibile capacità di Nicola di creare il magic moment al momento giusto e di procedere, coriaceo, fino alla fine. Ma ci è voluto anche un po’ di culo, va detto, perché restano in A dopo un sonoro 4-0 e con la quota salvezza (31) più bassa degli ultimi due decenni.
Alle ultime tre non resta che il rammarico. Specialmente per il Cagliari (30), che sembrava a sua volta una too big to fail, rimasta indietro per problemi organizzativi e di spogliatoio che Mazzarri non è stato in grado di risolvere, visto che a un primo periodo di ripresa è seguito il tracollo definitivo. Ma anche per un Genoa (28) che con Blessin aveva ritrovato la solidità difensiva e la voglia di lottare inesistenti durante la gestione Shevchenko. Tuttavia, dopo anni passati a salvarsi per il rotto della cuffia senza proporre un’idea di calcio e nemmeno di rosa (e con una gestione Preziosi in meno a lavorare dietro le quinte), prima o dopo doveva finire male per la legge delle probabilità.
Chiude il Venezia, Cenerentola del campionato con 27 lunghezze, che ha onorato fino in fondo una categoria che, fino a metà stagione, sembrava alla sua portata. Si è rotto qualcosa con l’allenatore della promozione Zanetti, e da lì la concatenazione degli eventi ha portato all’evaporazione della fiducia iniziale, ma anche all’emersione dei limiti tecnici e tattici che tale entusiasmo copriva in precedenza. In ogni caso, il progetto è interessante e molti giocatori che ne fanno parte anche, dunque gli si augura una pronta risalita.
E così, accogliendo la storica promozione del Monza (quei due vecchi volponi di Berlusca e Galliani l’hanno fatto di nuovo…), il ritorno atteso del Lecce e quello dal sapore più vintage della Cremonese, non resta che godersi il sole, il mare, il Mondiale da spettatori disinteressati. E fatelo al meglio, perché il prossimo anno la Serie A riparte a mille già ad agosto!
Sincerely yours,
Marco Ferreri
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