“Facevo le chemioterapie in quel periodo, ma non so dove trovavo la forza per continuare a fare gli spettacoli. Avevo disperatamente bisogno di continuare ad andare in scena…” Voglio iniziare la nostra chiacchierata con le tue parole, quelle che mi hanno spinta a chiederti di rilasciarmi questa intervista. E vorrei soffermarmi su due sentimenti (che hai citato forse involontariamente) che accompagnano chi, come te, ad un certo punto della vita, si trova faccia a faccia con la malattia: forza e disperazione, un ossimoro, due facce della stessa medaglia che si prendono a pugni o si consolano… quale delle due ha prevalso durante la tua malattia?
Sicuramente la Forza. Tuttavia, la forza mi arrivava solo dalla disperazione, dal sentirmi così impotente e malata, da non poter fare altro che appellarmi a quella parte sana di me, a quella forza appunto, che neanche sapevo di avere. In quel periodo sono stata abitata da tante sensazioni e stati d’animo. Inizialmente non mi rendevo conto della gravità della cosa, ero troppo presa dal cercare le parole giuste per tranquillizzare chi mi stava accanto. Poi un giorno, o meglio, una notte, il mio inconscio mi ha portata nella disperazione. Da quel momento per settimane, mi svegliavo sempre nel cuore della notte, in lacrime. Angosciata, disorientata, spaventata. Poi, invece, iniziate le terapie, era come se non avessi tempo per lasciarmi andare. Era talmente dura accettare per me quel tipo di cura (una cura barbara) che dovevo farmi forza, più forza che potessi. Entrare nei panni della guerriera e combattere. Inutile dire che la mia piccola bambina, Judith, mi ha sempre riempita di dolcissima forza.
In un bellissimo post su Instagram racconti del momento in cui metti una parrucca e torni in scena, ma ad un certo punto questa ti cade mostrando a tutti i presenti la verità. “Il pubblico muto per pochi infiniti secondi. Panico!!! Raccolsi la mia parrucca e con fare solenne me la rimisi sulla crapa pelata. Tutti scoppiarono a ridere, pensando fosse una gag studiata e voluta! Capii che finalmente mi accettavo nel mio nuovo corpo. Ed ero pronta per spaccare come sempre! E avevo anche, insito proprio nella mia condizione fisica del momento, un potenziale artistico potentissimo!” Se quel giorno, sul palco, ti sei finalmente riconosciuta ed accettata, c’è stato sicuramente un momento, durante la malattia, in cui guardandoti allo specchio non ti sei sentita te stessa. Ti va di raccontarcelo?
Sì. Finalmente quel giorno ero tornata in scena e mi accettavo di nuovo. Non solo, mi piacevo! Non tanto esteticamente parlando, bensì mi sentivo figa, grande, forte! Ci sono stati dei momenti di dolore profondo derivati proprio dal non potermi guardare allo specchio senza farmi pena. I primi mesi di cura sono stati quelli che mi hanno fatto perdere più peso. Il seno si era prosciugato. Quel seno che veniva osservato, studiato, palpato di continuo. Visite, esami, controlli. Visite, esami, controlli. Ero esausta. E non mi piacevo. I capelli cominciavano a diradarsi e a cadere. Così li tagliai tutti definitivamente. Mi ero comprata una parrucca da sballo ma le prime volte mi dava troppo fastidio tenerla in testa per più di dieci minuti. Provavo foulard, ne mettevo insieme più di uno, tentavo di annodarli su un lato o di farne una treccia. Ma ero profondamente stanca e triste. E non mi piacevo. Non riuscivo più a toccare il mio seno. Mi faceva impressione. Non riuscivo a guardarmi nuda allo specchio. Non volevo. Non percepivo più il mio corpo come un corpo che potesse provare piacere sessuale. Il solo pensiero mi dava fastidio perché mi faceva male, mi faceva sprofondare nella tristezza.
In una poesia da te pubblicata leggiamo:
“Mille donne vivono in me
Compiono anni
pianti
si infuriano
fanno guerre nel mio corpo
si sbarazzano delle loro catene
si appendono
mi distruggono.”
Che rapporto hai con la Chiara di oggi? Hanno firmato un armistizio tutte queste donne che vivono in te o continuano a farsi la guerra?
Con la Chiara di oggi ho decisamente un rapporto migliore!! Per fortuna! Oggi mi voglio tanto bene. Mi piace sempre di più stare con me stessa. Mi sento molto meno sola di un tempo e più capace di ascoltarmi e rispettarmi. Mi diverto anche da sola e questa cosa mi piace molto! Anche con il mio corpo sto meglio. Un corpo che è tornato pieno di curve, che ha cambiato metabolismo velocissimamente. Ci litigo, mi arrabbio ma in fondo so che va bene così come è. Che il bello sta nei segni, nelle imperfezioni, nelle cicatrici. E in come si porta in giro tutto questo! Nella mia multiforme unicità, nel mio essere Chiara.
“Sono entrata in contatto profondo con la sofferenza della malattia e spesso con l’angoscia dell’impotenza. Con lo stare in quel limbo tra il coraggio e l’abbandono.” Scrivevi questo nei giorni più bui della malattia, cullata da un’altalena di emozioni contrastanti. Le tue parole più dolci le hai dedicate proprio a quelle persone che hanno perso la battaglia contro il cancro; ti va di regalarci un ricordo, un aneddoto di un amico volato via e che è rimasto indelebile dentro di te?
Desirèe. Una ragazza bellissima. Ancora più giovane di me. Mamma di un compagno di asilo di mia figlia. La maestra mi disse quando le dovetti raccontare che mi era stato diagnosticato un tumore al seno molto grave, che anche quest’ altra mamma lottava da un anno per lo stesso male. Aveva detto anche a lei di me. Così da quel momento non ci siamo mai più guardate come prima. Da quel momento io e lei eravamo complici, sorelle. Ricordo quel giorno sui gradini dell’ asilo. Mi ha abbracciata strettissima. Era forte Desy. Insieme eravamo più forti, non eravamo sole. Noi due sapevamo cosa si passava, come ci sentiva. Noi due sapevamo che anche per i nostri figli, la cosa più importante era sorridere sempre e essere più forti della malattia. Ricordo una mattina d’ estate a casa sua. In casa potevamo stare tranquille senza foulard, senza parrucca, al fresco! Mi aveva detto che lei era sicura che ce l’avrebbe fatta, che era disposta ad andare ovunque per farsi curare. Che sarebbe entrata in un programma sperimentale perché nonostante la brutalità delle cure, il suo tumore non retrocedeva. Era così convinta, determinata e solare…calda, dolce, bella, piena di vita…che non avevo dubbi neanche io che ce l’avrebbe fatta. E invece no. Io sì e lei no.
Che consiglio senti di dare a chi sta combattendo contro un cancro? C’è un segreto per anestetizzare i pensieri e trarre da tutto il male quel potenziale artistico di cui parlavi nel tuo post?
L’unico consiglio che mi sento di dare a chi sta passando questo è di non vergognarsi. Di camminare a testa alta. Di chiedere e accettare l’aiuto sia di chi si ha di più caro, sia di altre e altri che magari ci sono passate. Di non isolarsi. Di esprimere in qualche modo il dolore, la paura, la rabbia.
Grazie mille Chiara, ti auguro una vita meravigliosa.
di Alessandra Ercolino