"Un giorno lento" di Fabio ValerioArticoliRacconti brevi

Un giorno lento (puntata 27)

L’INSIEME DI TUTTO

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Allungo una mano per sfiorarti ma le mani sembrano passarsi oltre. Ti vedo, sei qui, eppure non

posso avvicinarmi, abbracciarti e neanche sfiorarti. Vorrei poterti stringere forte, quanto più forte si

può strizzare un’altra persona, per farti capire che vorrei chiederti scusa, dal più profondo del mio

cuore. Avrei preferito cadere io, in quel maledetto buco. Avrei preferito perdere la vita, per salvare

la tua e non sentire il peso della coscienza corrodermi la cervicale e le meningi.

Vorrei poter tornare indietro ed evitare di spingerti e farti quello stupido scherzo, vorrei averti

salvato, vorrei essere riuscito a chiamare i soccorsi, tua madre, quella volta…

Ma non sono riuscito a fare nulla di ciò e questo mi ha devastato, mi ha consumato internamente, mi

ha logorato l’animo e i pensieri. Sì, ho pagato. L’ho voluto io e ho sentito che era giusto doverlo

fare.

Non avrei potuto proseguire la mia esistenza, se non l’avessi fatto. Avevo un debito da saldare con

la mia coscienza e l’ho pagato.

“Io ho pagato! Mi senti? HO PAGATOOOO!”.

L’aria si fa più rada mentre la tua sagoma sembra sempre meno visibile.

“Che posto strano, carino però, vero?”

“Ah, ma allora mi senti! Hai capito che ho pagato per quello che ho fatto? L’hai capito? Rispondi!”

Un sorriso appena visibile si fa strada sul tuo piccolo volto e io mi sento sempre più confuso. Non

so dove siamo, non so perché riesco a vederti anche se sei morto, perché sorridi dopo quello che ti

ho fatto…?

“Certo che l’ho capito amico mio, l’ho capito da subito. Ti ho perdonato anche mentre morivo. Ho

capito, sai, perché non sei andato a chiamare mia madre? Lo so, sembra assurdo, ma non ce l’ho

mai avuta con te. Quando le forze ti lasciano, quando la testa funziona lentamente e smette di

pensare al dolore, al fastidio, alla paura, alla morte, al rancore, all’odio e alla rabbia, allora si riesce

a percepire cosa, veramente, si è. Ascoltando il cuore, il pensiero che viene dal profondo, quello

senza inquinamenti, si capisce che tutto quello che viviamo è utile e futile allo stesso tempo. La mia

morte, il mio dolore, il dolore che ha provato mia madre, la tua sofferenza, sono solo piccoli passi

verso la riuscita. Verso un progressivo sviluppo dell’essere umano, della società, della vita nel suo

ragionamento totale.

È incredibile quanto piccoli siamo in confronto a tutto il resto, ma quanto importante è ogni aspetto

delle nostre vite. Come ogni singola e minima spennellata e sfumatura su un immenso, quanto

perfetto, quadro universale”.

Ma di cosa starà parlando? Rimango a osservare il suo labiale e ascolto le parole che suonano come

una musica soave e mistica allo stesso tempo. Come può la sua morte essere stata utile? Come può

il mio mutismo essermi servito per migliorare? Come può aver vissuto sua madre, senza sapere, per

una vita intera, che fine avesse fatto il figlio?

A me questo mondo sembra un posto orribile, non accettabile. A volte vorrei non essere mai nato,

tanto il ribrezzo provato in vita.

“Ma mi hai perdonato davvero?”

“Credevo di essere stato abbastanza limpido ma proverò a essere più esplicito. Sai perché sei qui?”

“Non si risponde a una domanda con una domanda, cos’è non ti ricordi più come ci si comporta?”

“Hai ragione, come sempre. Però per spiegare questo incontro e il mio perdono dovresti rispondere

alla domanda. Tu, lo sai perché, ora, sei qui?”.

Lo spazio tra noi sembra riempirsi di una fitta e densa nebbia, quasi come fosse zucchero filato,

quasi come fosse tangibile. Nel mentre, invece, i pensieri e i ricordi si fanno più freschi, più

accessibili.

“Dena!”. Dena, ma non solo. Peter e Paul, la madre dei due, il parroco, lo straniero… E andando

ancora più in là con i ricordi: il mio grande amore, la casa sull’isola, la malattia… E scavando

ancora: mia madre, la madre del mio amico, la scuola, gli amici… Il mutismo, i sensi di colpa, la

rabbia, la delusione, il suicidio…

“Mi sono buttato”.

“Sì amico mio, hai saltato. E poi sei stato nel villaggio nel Far West. E ora sei qui. Qui ci arrivi

quando sei pronto e quindi sei disposto ad accettare il mio perdono. Io ti ho perdonato anche quando

ho capito che non avresti chiamato aiuti per salvarmi, ma eri tu quello a non essere pronto per

accettarlo. Ora hai vissuto, hai sbagliato e sei cresciuto. Hai pianto, hai lottato, hai amato, a tuo

modo. E se sei qui allora significa che sei arrivato in vetta ed è giunto il momento di godere della

vista.

Ogni cosa che ci accade, che facciamo e che scegliamo fa parte di quello che siamo e che saremo.

In vita, da anziani, qui e nelle prossime esperienze. Era necessario sperimentare questo dolore per

te, come lo era per me. Vai amico mio, sei libero adesso”.

Salutando, con il cuore e gli occhi ricolmi di gioia e gratitudine, finché la sua sagoma non diviene

un tutt’uno con il resto dell’ambiente, rimango solo. Ora sì, sono solo, ma non mi sono mai sentito

così insieme a qualcuno. Sono insieme e nello stesso momento l’insieme che contiene tutto.

Di Fabio Valerio

@erofaalbivio

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