"Uno sguardo altro"Articoli

Eternità circolare

“Guarda questa porta, nano! – continuai io – Ha due facce. È il punto di convergenza di due strade: nessuno le percorse mai sino in fondo. Questa lunga via fino alla porta: dura un’eternità. E quella lunga via al di là della porta è un’altra eternità […] e qui, a questa porta maestra, è il punto dove convergono. Il nome della porta maestra è scritto lassù in alto: “Attimo”. Così si rivolge Zarathustra al nano che, sceso dalle sue spalle, si è accoccolato davanti a lui, in un luogo casuale, in un istante casuale, non importa, ogni luogo ed ogni istante sono una porta maestra se li sappiamo osservare nella prospettiva proposta da Nietzsche. Ci si addentra, così, nel cuore del “mito dell’eterno ritorno dell’uguale”, per chi volesse approfondire a livello antropologico e cosmologico tale mito rimando al profondo saggio che Lowith gli ha dedicato, io, con assoluta modestia, proverò a tradurne le conseguenze nella nostra vita di tutti i giorni ma sempre con la speranza di essere sostenuto da “un pensiero altro”.

L’argomentare di Zarathustra si fonda su di un’antica concezione del tempo che non si presenta nella forma di una linea percorsa rettilineamente da una freccia come, per intenderci, nel caso del tempo cristiano. Questo, infatti, ha un inizio in Dio che, in quanto essere al di fuori del tempo, ne è la causa nell’istante in cui, creando, genera un principio. Ma l’insorgere di un arché sottintende la necessità di una conclusione! Questa, nell’ottica cristiana, si esplicita nel momento in cui lo stesso Eterno verrà a chiedere conto all’umanità per decretarne la fine “nel tempo” e l’ingresso nel “per sempre”. Argomento abissale che non credo certo di risolvere in questa proposizione, chiedo anzi che mi si perdoni l’estrema sintesi utile solo per poter procedere nell’affrontare una diversa questione che è oggetto dell’attuale riflessione. L’ipotesi di Zarathustra è che il tempo sia circolare e che, pertanto, come in un cerchio, ogni punto geometrico della circonferenza, ogni “attimo” nella versione di Nietzsche, sia contemporaneamente il primo e l’ultimo. Evidentemente questa visione elimina i concetti di inizio e fine come espressione del pensiero di un ente trascendentale per porre “il soggetto coscienziale” al centro delle proprie capacità progettuali. “Non è il tempo che passa … siamo noi”. In questa prospettiva il tempo diviene “permanenza circolare” ed ogni uomo ne fruisce una porzione limitata alle sue possibilità fisiche e coscienziali. La reazione del nano fu arrogante e supponente, “Tutto quel che è rettilineo mente – mormorò con disprezzo il nano – Tutte le verità sono ricurve, il tempo stesso è un circolo”. Che può importare a Zarathustra di sentirsi condividere se questo non coglieva la profondità del suo pensiero? Fu così che minacciò il nano di abbandonarlo in quel luogo ma poi, ancora una volta, “il ghiaccio del suo cuore si spezzò” e proseguì nel suo argomentare. Credo non sia possibile che desiderare la condivisione di tanta bellezza una volta colta, sono convinto che ogni uomo visitato e capace alla gioia ed alla luce di simili pensieri desideri condividerle con gli altri: è il fondamento di ogni creazione artistica!

Tenterò di esplicitare con un esempio il messaggio di cui è portatore Zarathustra poiché nel testo nietzscheano risulta complesso e potrebbe sembrare rivolto ai cosiddetti “iniziati”, credo non sia così, anzi, affermo che ogni grande pensiero è dell’uomo e per l’uomo … per ogni uomo che si consenta alla possibilità di prenderne possesso! Ora, proviamo ad immaginare i punti della circonferenza come enti materiali, finiti, particolari e limitati. I chimici potrebbero vederli come i componenti elementari della materia, nell’ottica della fisica recente come dei Quanti, un leibniziano come delle monadi non è importante come, ma che sia chiaro il concetto. Per semplicità tali innumerevoli elementi li ipotizziamo molto meno numerosi, la logica del nostro procedere non ne risulterà compromessa, anzi. Consideriamone solo tre e chiamiamoli A B C, ebbene, le combinazioni dei tre elementi risulteranno inevitabilmente limitate, ne consegue che, nella circolarità infinita del tempo, tali combinazioni, una volta realizzatesi tutte, non potranno che tornare a ripetersi, non necessariamente nello stessa successione, magari più volte l’una e meno l’altra, ma non saranno inevitabilmente costrette a ritornare? Credo che la ovvietà del mio esempio sia tale da renderlo almeno condivisibile da chiunque, ma ecco che l’abissalità del pensiero nietzscheano trasforma l’ovvio in sovrumano. Utilizzando la nostra riduttiva ma chiara allegoria, non potremmo definire questo momento, quello nel quale stai leggendo queste righe, come una delle varie possibili combinazioni, per esempio chiamiamola BCA? Ebbene, per ora ancora la questione non ci sconvolge minimamente, possiamo vederla come un giochino infantile e vano, ma se provassimo ad interrogarci nella prospettiva del filosofo, dovremmo chiederci: quante volte ho già letto queste righe? Quante volte le ho amate? Quante volte le ho rifiutate e quante altre differenti reazioni ho avuto, cioè, quante volte a BCA è seguita BAC e quante volte ACB? La risposta ovvia è: infinite!

Capisco, il fatto di apprezzare o risultare infastiditi o essere indifferenti a queste righe può rivestire scarsa rilevanza nella vita di ognuno, ma se la combinazione BCA fosse un momento cruciale nella vostra esistenza? Fosse un dire si o un dire no a un momento d’amore? Se fosse quell’istante in cui avete scelto di andarvene invece che restare, l’attimo in cui avete ucciso un sogno oppure vi siete concessi a lui? A questo punto mi sia permessa solo un’ulteriore provocazione che non è esplicita nel testo nietzscheano ma che mi sembra affascinante e terribile raccogliere: se infinite volte ho amato la persona che ho davanti e se infinite volte l’ho odiata, uccisa o che altro, è evidente che l’aspetto morale della mia decisione di “questo attimo” sia stemperato nelle innumerevoli volte che l’ho compiuta in un senso o in quello opposto, ma questo non conduce al nichilismo, allo svuotarsi di valore etico della mia scelta, come sostiene tanta superficiale critica al pensiero nietzscheano. Al contrario, proprio perché non ha valore eteronomo e assoluto ciò che deciderò di fare, l’assegnazione di senso e di pregnanza etica non sarà garantito da nessun abitatore dell’iperuranio, ma solo dalla mia volontà. Io divengo responsabile unico di ciò che avviene proprio perché, avendo già scelto infinite volte sia l’una che l’altra opzione, la deliberazione attuale assume senso e valore alla luce della mia volontà. Io, in questa infinita ed inebriante possibilità di libertà,  divengo la mia scelta, il mio coraggio, la mia assunzione di responsabilità, il mio affermare assordante: io vivo.

La prosa nietzscheana che presenta questa abissale filosofia merita di essere riportata in chiusura: “Poiché ogni cosa che può camminare: anche per questa lunga via al di là della porta deve ancora una volta andare! E questo lento ragno che arranca al chiaro di luna e lo stesso chiaro di luna e io e te presso la porta maestra, sussurrando fra noi, sussurrando di cose eterne, non dobbiamo ritornare eternamente?” Così parlavo, sempre più sommesso: poiché avevo paura dei miei stessi pensieri e di quel che si celava dietro i pensieri.

di Ferruccio Masci

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