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SIGNORA O SIGNORINA?

SIGNORA O SIGNORINA?

Le parole contano, e anche i titoli che diamo alle persone. Nella nostra società, ognuno di noi ricopre un ruolo: qualcuno è dottore, qualcuno è professore, altri sono ragionieri, altri ancora avvocati. Qualcuna, invece, è Signorina.

Carina, piccolina, bellina, tenerina.

L’ho provata anche io, quella sensazione quasi di sollievo nell’essere chiamata così da qualcuno in ambienti informali, al bar o al supermercato. Mi faceva sentire giovane, una ragazzina: in fondo non dimostro la mia età, e pochi uomini fanno caso alle fedi che portiamo al dito, per loro sono dettagli trascurabili!

Io signorina a conti fatti non lo sono più, e sotto molti punti di vista. Nonostante sia stato detto e rimarcato che una donna, dopo i 18 anni, debba essere chiamata Signora, questa innovazione linguistica è indigesta ai più.

Ancora siamo molto legati all’idea o alla convenzione secondo la quale, purtroppo, si passa di grado e si diventa Signore una volta convolate a giuste nozze.

Peccato che questo discorso di passaggio di stato riguardi solo gli esseri di sesso femminile, ed è triste che la disparità di genere sia annidata nella lingua che parliamo.

Per spiegarmi meglio e rendere l’idea, comincerò a fare degli esempi:

  • Signorina è un diminutivo: meno di signora, non ancora tanto da esserlo. Cosa manca? Beh, la validazione del nostro status suggellata dall’unione matrimoniale, vincolo imprescindibile per poterci investire di tale titolo. Ma quanto è ingiusto lasciare che il nostro status sociale influisca sul titolo che ci definisce? Sposarsi non è un merito, come invece potrebbe esserlo una laurea.
  • Non ci sogneremmo mai di chiamare signorino un uomo di trent’anni non ancora sposato, lo coprirebbe quasi di ridicolo, secondo il nostro retaggio culturale gli staremmo dando dell’uomo a metà.
  • Un uomo lo status non lo cambia mai. Perché si suppone che noi donne, invece, nel corso della vita abbiamo da prendere diverse forme, in base alle nostre scelte sociali?
  • Una donna non sposata di cinquant’anni è la Signorina X, ad esempio per i documenti da compilare online, e diventa Signora solamente nel momento in cui l’interlocutore si sente – giustamente – in imbarazzo nel riferirsi a lei con un termine usato per le giovinette, belle e carine.

Non sarebbe meglio almeno nei contesti in cui i titoli servono (come ad esempio quelli lavorativi o nei dibattiti pubblici), riferirsi alla donna in questione utilizzando il suo nome e cognome, oppure il titolo per il quale ha magari duramente lavorato? Che ne so, dottoressa, avvocata, professoressa.

Ho come l’impressione che quando ci si riferisce a una femmina come Signorina, in contesti strutturati, si stia quasi svilendo il suo parere e la sua capacità di entrare a pieno diritto nelle questioni. Che sia sposata o meno, giovane o più matura non ha importanza. Chiamare Signorina una donna in contesti ufficiali, la svilisce enormemente, poiché si sta ponendo l’accento sul suo stato sociale e non sul suo livello di competenze.

E mi dispiace, non è nazi-femminismo, non è arrampicarsi sugli specchi. La rivoluzione comincia dalle piccole cose, dalla questione linguistica, perché le parole danno un senso al mondo e solo un cambio di paradigma verbale potrà essere alla base di un vero cambiamento delle carte in tavola.

Non sono una Signora, sono la dottoressa, la professoressa o, meglio ancora, semplicemente Francesca.

Di Francesca Broso

ig: @miss.francesca.and.her.books

Fonte immagine: Pixabay

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