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Il Natale di una volta

Il Natale di una volta

Dicembre, per gran parte degli abitanti di questo pianeta, coincide con il Natale. Non c’è azienda, ufficio, scuola e casa dove non si facciano programmi e non si vagheggi, già dai primi del mese, su come trascorrere le agognate vacanze natalizie. C’è chi pensa in grande e ha già prenotato da mesi una settimana ai Tropici per godersi le feste al caldo, chi sogna di andare sulla neve, chi ha già acquistato un abito elegante da sfoggiare nei party più esclusivi che, come ogni anno, verranno organizzati nei vari locali della propria zona. A tutto ciò si aggiungerà la corsa all’acquisto dei regali per parenti e amici e le code interminabili incastrati nel traffico, senza contare qualche multa e magari qualche tamponamento in città, a causa della frenesia natalizia che trasforma i pedoni, gli automobilisti e i vigili urbani in una manica di invasati! Qualcuno obietterà che tutto questo caos è parte integrante e caratterizzante delle feste, sì, è vero, ma il Natale è realmente questo, o meglio, si riduce solo a un periodo di pausa dal lavoro, di svago, di divertimento, di caos e di acquisti compulsivi? A gennaio, quando l’Epifania porrà fine alle festività e ciascuno ritornerà alla routine quotidiana, molti saranno lieti che il tour de force natalizio sia giunto al termine e che finalmente sia possibile riposare! La verità è che il Natale, così come lo viviamo oggi, è il frutto delle sovrastrutture legate al consumismo che, a partire dal boom economico degli anni Cinquanta fino ai giorni nostri, lo hanno investito e snaturato, spogliandolo di ogni significato religioso e riducendolo a una macchina da soldi. Fatta eccezione per l’ultimo dell’anno, che è per definizione una festa laica, in cui si saluta l’anno vecchio e si brinda all’arrivo di quello nuovo, il Natale, come pure l’Epifania, hanno una valenza squisitamente religiosa nel mondo cristiano e nascono per celebrare la nascita di Gesù e la sua incarnazione nel seno della Madonna e la successiva venuta dei Magi, per onorarlo come vero Dio e vero uomo, dunque il focus della festa dovrebbe essere di carattere spirituale. Vogliamo provare a vivere un Natale diverso, recuperandone il significato più profondo? Mi viene in mente un brano dal titolo “Once upon along ago” di Paul McCartney, c’era una volta, tanto tempo fa…

Immaginiamo di salire su una macchina del tempo capace di proiettarci indietro nel passato, in un’epoca preconsumistica, e cerchiamo di introdurci nell’atmosfera natalizia di allora. Come vivevano il Natale i nostri nonni? Di certo accoglievano la nascita di Gesù partecipando alle funzioni religiose: perché non provarci anche noi? Per cominciare, potremmo provare ad assistere allemesse che vengono celebrate durante il periodo dell’avvento, il che vuol dire immergersi nel mistero cristiano e recuperare lo spirito e il senso mistico della festa, ascoltando le sacre scritture accompagnate dai canti dei coristi che, in questo periodo dell’anno, eseguono le melodie più belle che mai siano state scritte, basti pensare all’”Ave Maria” di Gounod e al brano, tutto italiano, “Quanno nascette ninno” di S. Alfonso Maria de’ Liguori,tradotto in italiano in “Tu scendi dalle stelle”.

Un altro elemento che caratterizzava le feste di una volta era l’allestimento del presepe in casa, tradizione che resiste al Sud, ma che è stata in gran parte abbandonata a favore del più laico albero. La tradizione presepiale, un tempo, riuniva tutta la famiglia e prevedeva un lavoro che poteva richiedere anche diversi giorni. Bisognava preparare le impalcature per creare vari livelli, servendosi di scatole di cartone di varia grandezza da sovrapporre e incastrare, ma anche di pannelli di legno che venivano tagliati e assemblati tra loro, poi si doveva ricoprire il tutto con i fogli di carta, fare le strade con il riso, i fiumi con la stagnola, gli sfondi con la carta stellata, disporre i rametti di pino e i pezzetti di muschio e collocare le case, che venivano realizzate con il legno o con il cartoncino e colorate con i pennelli, e infine i pastori, gli animali  da cortile e ovviamente la grotta del bambino Gesù. Potremmo recuperare il rito del presepe e, nello stesso modo, dare vita a decorazioni per la casa, quali, per esempio, un portacandele ornato con dei rami di vischio o di mirto, legati da un nastro rosso, un centrotavola fatto con le pigne dipinte d’oro e le bacche di agrifoglio, etc. Chi sa quanti bambini, anche oggi, si divertirebbero un mondo a fare tutto questo con i propri genitori! 

Altro elemento immancabile era la preparazione dei dolci, rigorosamente fatti in casa in grandi quantità, da scambiare come dono tra amici. Essendo salentina, non posso non menzionare le ricette tipiche della mia terra, come le “chinuliddhre” fritte, ripiene di cotognata, che è una sorta di marmellata a base di mele cotogne, le “pitteddhre”, tipiche crostatine a forma di stella farcite con mostarda d’uva, i “taraddhri e cozze ‘nnasparati”, vale a direricoperti di glassa di zucchero, il pesce di pasta di mandorle e i “purciddhruzzi” e le “cartiddhrate”. Questi ultimi, in casa mia, erano e sono un rito irrinunciabile. Ricordo con tanta nostalgia quando, da bambina, mia nonna si recava da noi di buon mattino per dare inizio alla preparazione dei dolci, che si concludeva solo in serata. Si faceva l’impasto, aromatizzato con chiodi di garofano e cannella, poi si procedeva a stendere la sfoglia che veniva tagliata con una rotella dentata e le striscioline di pasta, sapientemente pizzicate e arrotolate, davano vita alle “cartiddhrate”, oppure si creavano dei rotolini che, spezzati a tocchetti e passati su una grattugia, davano forma ai “purciddhruzzi”. Il tutto veniva fritto e completato attraverso la confettura, mediante la quale i dolci venivano rigirati in una miscela di miele caldo e zucchero, e decorati con codette colorate e pinoli.

I nostri nonni si scambiavano solo dolci? Certamente no, ma, in un’epoca in cui non c’erano grosse disponibilità economiche, i regali venivano realizzati in casa, per esempio, un indumento cucito a mano, uno scialle o un berretto lavorato ai ferri, una tovaglia ricamata, un borsellino o un paio di guanti all’uncinetto, un oggetto utile fatto di legno, e tutto quello che la nostra fantasia suggerisce. Il valore aggiunto dei doni “hand made”? La loro unicità, abbinata al tempo speso e all’amore che chi li ha confezionati ci ha messo dentro!  

Infine, una componente fondamentale delle festività era la carità,intesa come aiuto concreto ai poveri o anche come disponibilità del proprio tempo verso i più bisognosi. Chi ha fatto l’esperienza di iscriversi a una delle tante associazioni umanitarie che si occupano delle persone svantaggiate, dai senza tetto agli anziani soli, dagli immigrati agli ammalati, riferisce di aver fatto una scoperta inaspettata: far del bene agli altri, senza aspettarsi nulla in cambio, è il modo migliore per dare senso alla propria vita. Prima ancora di indirizzarci verso i gruppi di volontariato, non sarebbe male guardarci intorno: ci accorgeremmo che i primi ad avere bisogno di noi sono i nostri cari, a partire dai nonni e da altri parenti, che magari sono vecchi e impossibilitati a uscire, i quali ci sarebbero grati se volessimo destinare una piccola parte della giornata a tenere loro compagnia, per non parlare di vicini di casa,di amici e conoscenti che forse stanno vivendo un periodo didifficoltà e avrebbero piacere di ricevere il nostro sostegno.

Allora, che ne pensate? Vale la pena di fare un giro sulla macchina del tempo?  

di Maria Katja Raganato

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