"Uno sguardo altro"ArteArticoli

Uno sguardo altro

Se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera” scrive George Orwell in 1984; l’inganno, la falsificazione, la manipolazione che imperano nel suo celebre romanzo non sono poi così lontani da tante narrazioni pseudo storiche alle quali siamo assuefatti, dai copricapi cornuti dei Vichinghi in combattimento agli spaghetti importati in Italia da Marco Polo, dalla prima bicicletta progettata da Leonardo alla truffa paleontologica dell’Uomo di Piltdown fino alla provocazione più famosa del secolo scorso perpetrata da tre ragazzi livornesi nel 1984, centenario della nascita di Modigliani, che produssero due teste ben presto riconosciute opera del maestro toscano, i tre burloni dimostrarono di aver realizzato quei pezzi gettando nel caos l’autoreferenzialità del mondo della critica d’arte. In effetti di falsi storici celebri ne possiamo elencare a decine, forse il più noto rimane il Costitutum Costantini che certificava la donazione da parte dell’imperatore nei confronti di Papa Silvestro I e ai suoi successori della città di Roma, dell’Italia e di tutto l’Impero d’Occidente. Come è noto sarà Lorenzo Valla a dimostrare la falsità dell’atto diversi secoli dopo, nel frattempo intorno al testo erano fiorite motivazioni documentali e leggende miracolose. Nello scritto, stilato dalla cancelleria pontificia di Stefano II, si può leggere: “Non è giusto che l’Imperatore terreno regni là dove l’Imperatore celeste ha stabilito il principato dei sacerdoti e il Capo della religione cristiana” ed anche l’elemento ierofanico non manca alla vicenda, era diffusa, infatti, la narrazione di un intervento miracoloso da parte del Pontefice che aveva salvato la vita di Costantino affetto dalla lebbra tanto da indurlo a saldare il debito di riconoscenza con la detta donazione. Altro falso celebre, anche se meno rilevante in una prospettiva strettamente storica, riguarda una frase attribuita alla regina di Francia Maria Antonietta, esatto, proprio quella delle brioches: era il 5 ottobre del 1789, la guardia nazionale comandata da La Fayette accompagna un corteo di diverse migliaia di donne fino a Versailles, l’obiettivo politico è indurre Luigi XVI a firmare i decreti  varati dall’Assemblea Nazionale Costituente, quello più immediato è generato da un sentimento forse più basso ma quanto più pressante: la fame e la conseguente richiesta di pane! Lo strepitare delle donne sotto le finestre della residenza reale pare abbia stimolato la curiosità della Regina che, informata delle richieste delle donne,  si dice così si esprimesse: “Qual è il problema? Se non hanno pane, che mangino le brioches!” Le origini dell’espressione mai pronunciata da Maria Antonietta, almeno, nessuno lo ha davvero testimoniato, risalgono ad un aneddoto riportato da Rousseau nelle sue Confessioni e attribuibile probabilmente a Maria Teresa, moglie di Luigi XIV, altre fonti la assegnano a Maria de Medici. Per chi fosse interessato ad ulteriori dettagli rimando al bel saggio dell’amico Lorenzo Cortesi dal titolo “Questioni di storia”, per ora è il momento di passare al falso storico che origina il titolo di questo “sguardo altro”.

Nel 1977 l’ONU ufficializza la giornata internazionale della festa della donna“; una volta sancita da un organismo così importante come nutrire dubbi intorno alla fondatezza del riferimento storico grazie al quale è stata individuata la data dell’otto marzo? Ma la nostra fiducia “nell’istituzione somma” può essere sufficiente garanzia al fondamento documentale alla base della decisione? Proviamo ad indagare: la vulgata più diffusa sostiene che sia stata scelta la data dell’8 marzo per ricordare un avvenimento accaduto l’8 marzo 1857 in una fabbrica tessile statunitense, una versione afferma essere di Chicago un’altra di New York e forse ne esistono ulteriori a me sconosciute ma poco importa, il fatto è che in quel giorno si sia consumata una terribile tragedia con incolpevoli protagoniste- vittime delle donne. Ben 129 operaie morirono nell’incendio della fabbrica, si sostiene a causa del fatto che il proprietario le avesse chiuse all’interno con intenti punitivi in seguito alle loro richieste sindacali. Ora, solo una breve nota per sottolineare che risulta complesso accettare il ricorso al termine festa per indicare la memoria di un evento tanto terribile, ma sappiamo tutti con chiarezza che il fine della commemorazione è certamente quello di celebrare la lotta che le operaie conducevano contro lo sfruttamento di fabbrica: fine che condivido e sostengo ma che non ha ragione di essere collegato ad un evento mai accaduto! Esatto, si tratta infatti di un falso storico! Non esiste nessun elemento documentale a riprova dell’evento.  Ma allora: la festa della donna è solo una montatura? Di certo non la commemorazione dei diritti della donna, ma la motivazione appena addotta sicuramente si. Non è irrilevante che, una volta acclarata l’infondatezza del rimando storico, si siano ricercate adeguate e fondate giustificazioni fattuali facendo riferimento ad un diverso avvenimento: un congresso del partito socialista femminile, nei verbali del quale nulla compare al riguardo, e una manifestazione di donne rivoluzionarie contro lo zar a Pietroburgo avvenuta il 23 febbraio 1917. In questo caso non ci sarebbe un errore di data, infatti nel calendario gregoriano quel giorno corrisponde all’8 marzo, in questo modo si giustifica la discrepanza nelle date ma, ancora una volta, il riferimento continua ad avere connotati quantomeno poco fondati storicamente.

A questo punto che fare? Semplicemente armiamoci di un rametto di mimosa per farne omaggio alla destinataria prescelta, anche se forse sarebbe più corretto accompagnare la donna in questione e indicarglielo sul ramo, senza reciderlo, come atto di rispetto per la donna, per il fiore e per la splendida, generosa e precoce mimosa, ma questa è un’altra storia. Piuttosto: siamo sicuri che la donna divenga meritevole di celebrazione solo se disposta all’estremo sacrificio in una fabbrica americana o in una piazza russa? Non è il caso di riandare all’archetipo di un sistema sociale pacifico e solidale come quello delle civiltà Gilaniche che avevano la donna come riferimento imprescindibile, nemmeno agli interessanti studi di Bachtin sul matriarcato, lasciamo il tutto come nota a margine, ma è impossibile circoscrivere la coscienza della formidabile centralità del femminile, la valenza anarchica e libertaria di tale archetipo ad una celebrazione oramai masticata dall’abitudine e mercificata del rituale. Credo che la “festa della donna” non vada distinta da quella dell’umanità, non credo che un’ulteriore linea di confine possa essere proficua, al contrario, è importante cancellare ogni distinguo, promuovere la capacità di riconoscere e apprezzare le differenze, le peculiarità, le sfumature, per cogliere la meraviglia dell’unità. Non esiste una foglia uguale all’altra sull’immenso “albero della vita”, una venatura, una dentellatura … il colore della pelle, la lingua parlata, il credo … l’esposizione al sole, le dimensioni, sempre un aspetto è particolare e distintivo per ogni foglia, eppure, se si comprendesse che tutte appartengono al medesimo albero e che le radici suggono nutrimento comune, chissà…!

di Ferruccio Masci

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