Un giorno lento (puntata 6)
Spesso i pensieri viaggiano, senza che ci si accorga di questo.
Magari stai lucidando gli stivali e pensi a tua madre, al sapore della polenta, alla sedia scricchiolante della cucina o alla vicina di casa, della quale non hai più avuto notizie.
Oppure mentre sei a cavallo, col vento che si infila sotto il cappello e gli avvoltoi che planano in cerchio, in attesa che qualche animale cessi di respirare…
Quando sei in grado di fare un qualcosa adeguatamente, della quale non ti preoccupi più se riesca bene o meno, allora a volte sopraggiungono pensieri autonomi, come se l’essere impegnati lasci spazio alle intuizioni, alle idee.
L’uomo delle luci aveva da poco acceso tutti i lumi nel viale centrale; non era ancora buio e si era appena alzata una leggera brezza.
Il cerchio di sassi era quasi, ormai, un lontano ricordo e le ricerche del piccolo non avevano ancora portato a risultati.
L’insegna della locanda cigolava lenta, sorretta da due catene arrugginite, seguendo la spinta del venticello.
La preoccupazione per la sparizione del fanciullo mi passò improvvisamente, proprio mentre mi stavo accingendo a ingrassare la sella. I pensieri, da un lato, vagavano senza meta; dall’altro si fissavano su Dena, i suoi capelli e le sue braccia.
Capii che il ragionare tendeva a far limitare le intuizioni, così come i bei pensieri. E che, di contro, un lampo di genio si sarebbe perso nel mare di pensieri vaghi, se non sostenuto dal ragionamento.
Proprio in quel momento mi assalì un dubbio. Forse l’unico lampo di genio mai avuto in tutta la mia esistenza. Forse, lucidare la sella, aveva fatto emergere un pensiero che mai, da concentrato, sarei riuscito a elaborare.
Quando si accende il lumino, succede come se una scarica di adrenalina ti pervada l’animo. In quegli attimi, puoi decidere se farti prendere dall’entusiasmo, o razionalizzare l’idea e fermarti, per ponderare meglio.
Avevo deciso di annotare su un taccuino l’ispirazione del dubbio quando, d’un tratto, incrociai lo sguardo di un passante.
Il temerario soggetto che impersonificavo si irrigidì, come se dovesse prepararsi a un duello.
Aveva paura di me? Ero riuscito a intimorirlo con lo sguardo sbilenco?
Dena cosa ne avrebbe pensato?
Ero, così, riuscito, in qualche modo, a dimenticare l’intuizione, che pur mi pareva assai importante…
“Sarà per un’altra volta”, mi dissi. E continuai a ingrassare la sella.
di Fabio Valerio
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