"Un giorno lento" di Fabio ValerioArticoliRacconti brevi

Un giorno lento (puntata 30)

OGNI ATTRAZIONE È RECIPROCA

Quando mi ritrovai nel villaggio, non mi era affatto chiaro come fossi finito lì.

Avevo dei ricordi vaghi. Ricordavo, per esempio, che ero italiano, che ero stato un fumatore,

ricordavo mia madre, l’odore del mare e il frastuono delle onde che si infrangono lungo la scogliera.

Ma non ricordavo molto altro.

Sembrava un dato di fatto essere lì, in quel posto dimenticato da Dio, nel mezzo del deserto; ma

come ci fossi arrivato rimaneva un mistero. Eppure sentivo che c’era una certa continuità tra il

prima e il dopo.

La sensazione era come se fossi stato drogato e, tutta la confusione che si era creata nella mia testa,

era dovuta soltanto a un mio stato di alterata attenzione. Come se tra il prima e il dopo ci fosse stato

un periodo di amnesia.

Solo ora capisco il motivo di quello stato.

Ricordo esattamente la prima sensazione che ho avuto, ritrovandomi in quel luogo: solitudine,

sconcerto per il non sapere bene come ci fossi arrivato, il sole accecante, a piombo, che puntava

dritto su ogni lembo di pelle scoperta con il solo intento di farne brace… e il suo viso.

Era la cosa più bella che mi era capitata di vedere da tanto, nonostante la sensazione di

disorientamento e la solitudine che mi attanagliava, costringendomi a un silenzio, internamente

ancora più reboante.

Di tutto il suo corpo, il suo viso, i capelli, il portamento, ciò che mi aveva colpito in assoluto era il

suo sguardo, che con quegli occhi color caramello sembrava volerti leggere tra le meningi. E il suo

colore della pelle; così adatto a quel disco di fuoco che soleva voler cuocerci da vivi, così diverso

da noi pallide meduse poggiate a essiccare sulla sabbia desertica.

Era come un tutt’uno con l’ambiente.

Non l’avresti notata, tra i coyote, i cactus, gli accampamenti e i cavalli selvaggi. Era completamente

integrata, quello era il suo posto, il suo habitat, il suo mondo, non il nostro.

A noi fa soffrire la vista, quel luogo; il respiro, i passi pesanti sulla sabbia instabile dentro quegli

stivali duri, il caldo asfissiante… Tutto era alla sua portata di vita, non alla nostra.

Era così bella in quei luoghi che ogni bianco avrebbe dovuto scansarsi, inchinarsi e abbassare lo

sguardo a ogni suo passaggio per le stradine del paese.

Invece noi avevamo devastato tutto. Non proprio noi del villaggio, che eravamo pacifici, ma noi

bianchi, i provenienti dall’Europa – cosiddetta – civilizzata. Abbiamo solcato i mari, occupato spazi,

aggredito popolazioni, distrutto vite e relazioni, senza neanche renderci conto di non riuscire a

vivere in questi posti così aridi, così poco moderni, così scomodi.

Per il puro piacere di conquista. Cosa ha, questa terra desolata, da offrirci? Di quanto spazio

abbiamo bisogno per soddisfare la nostra sete di colonialismo? A chi serve una ferrovia, in miglia e

miglia di lande desolate e desertiche? Chi vorrebbe vivere in luoghi dove l’acqua scarseggia?

Forse anche per questo l’apprezzavo. Con o senza di noi bianchi sarebbe stata bella, sarebbe stata

libera, avrebbe avuto un suo posto, in questo mondo; cosa che io, appunto, sentivo di non avere.

Almeno finché non la vedevo sbucare da qualche vicolo o la osservavo, impegnata, al di là del

bancone.

Lei forse riusciva a percepire che, in un modo tutto mio, la idolatravo. L’avrei portata anche in

spalla, per non farle sporcare le scarpe. Sentivo che doveva avere qualcosa a che fare con me, che in

qualche modo eravamo connessi, uniti dal destino.

Percepivo che avevamo da condividere delle esperienze similari e, chissà se le avessi parlato, se

avremmo potuto ricordare di quel noi passato, di quell’amore coinvolgente, appagante, passionale e

spensierato che avevamo avuto, sull’isola.

Ovviamente, con la regola dell’oblio, non ci è dato di ricordare, nei dettagli, le esperienze precedenti

e soprattutto la morte e il trapasso. Ma qualcosa di recondito continua a rimanere nelle fibre, così

come le intuizioni e le idee, che si riaffacciano, e l’affinità tra persone rimane, dando la sensazione

di familiarità, anche con chi si conosce da poco o che si frequenta meno assiduamente. E, così come

lo si sente da una parte, questo viene, in qualche modo, decifrato dall’altra che, a suo modo, sente

qualcosa di analogo, o almeno sente che possa esistere un’energia invisibile, un allettamento.

Perché ogni attrazione è reciproca e così resta, ogni volta, comunque, costantemente e per sempre.

Fine

di Fabio Valerio

@erofaalbivio

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