"Un giorno lento" di Fabio ValerioArticoliRacconti brevi

Un giorno lento (puntata 28)

RIFACCIAMOLO

I due si ritrovarono, finalmente, uno di fronte l’altra.

Ne avevano passato di tempo insieme, eppure il sentimento non si era mai affievolito. Né la prima

volta, né la seconda, né ora.

A osservarli da fuori potrebbe non sembrare eppure, i due, legati dal destino, avevano sempre scelto

diversi ruoli da svolgere, come diverse erano le relazioni che avevano scelto di interpretare, tra loro.

Prima amanti focosi, poi l’amore platonico e ora…

Non si staccarono gli occhi di dosso per tutto il tempo della visita e le parole furono davvero poche.

“Come stai?”, chiese lei.

“Sto bene, se ti vedo”.

“Ah, ma allora parli…”.

Non aveva mai sentito la sua voce prima d’ora e dovette ammettere che anche quella cosa, di lui, era

affascinante.

I suoi occhi color caramello fissavano il bel moro che aveva di fronte. Un uomo forte, che aveva

sbagliato tanto ma che aveva ampiamente pagato i suoi debiti. Lo sguardo diritto, quegli occhi

azzurri, la forma slanciata e quei stivali… Era l’uomo per sempre, per lei e ne era sempre più

consapevole. Era riuscita a stargli accanto sempre, anche quando il muro del silenzio ostacolava

qualsiasi tipo di comunicazione.

“Quindi ti sei buttato, poi?”, gli chiese.

“Sì – rispose – subito dopo la tua malattia”.

Non poteva neanche raccontare quanto dolore gli aveva provocato il non poter esserle accanto,

durante quelle ultime ore di agonia. Forse gli sarebbe bastato anche solo salutarla un’ultima volta,

per un minimo di pace interiore in più.

È stato doloroso perderti Nada, o Dena. Come vuoi che ti chiami? Mi dispiace non essere riuscito a

disobbedire a mia madre e averti lasciata sola. Mi dispiace anche non averti mai parlato al villaggio

e averti di nuovo lasciata sola”, aggiunse.

La bella, che aveva mantenuto ancora l’ultimo aspetto, rimase come impietrita. Era stata chiamata la

prima volta Nada, la seconda Dena… Non se ne era mai resa conto, prima. D’altronde, tra

un’esperienza e l’altra, non c’era stato modo di “valutare o organizzare”. Tutto era stato veloce,

nebbioso, confuso. E poi c’è la regola dell’oblio, per la quale non ci si può ricordare delle esistenze

precedenti, salvo rari casi e, ovviamente, al termine delle esperienze stesse. Ma in quell’occasione

non era stato possibile.

“Dena va bene”, rispose accennando un sorriso.

“Dena…”, sospirò egli.

Non aveva mai sentito la sua voce pronunciare il suo nome. Era come se un raggio di sole

squarciasse quel luogo a mezz’aria, dilaniando completamente quella coltre di polvere che rendeva

il tutto un po’ inquietante. Gli chiese di ripeterlo ancora, più e più volte. Era il suono più delicato e

potente insieme che avesse mai sentito. Lo amava, ma non come si amano due persone. Più come si

amano due parti che sono state divise e che rimangono vicine, ma senza avere la possibilità di

ritornare un’unica cosa. Un amore che si alimenta dalla mancanza di essere l’uno nell’altra e

viceversa. E lo stesso valeva per lui.

Gli occhi del baldo giovane non si staccavano da quelle belle e suadenti trecce, che scendevano

lungo i lati del collo per terminare all’altezza del seno. Lo sguardo penetrante e incisivo le lacerava i

pensieri e la necessità di “sentirsi” era ancora, se non più di prima, presente e pressante.

La sensazione era di mancanza, anche quando erano insieme. Un’indescrivibile necessità di

connessione mentale e fisica, perenne, da star male al solo pensiero di allontanarsi per qualche

minuto. Agli occhi di un esterno, soprattutto della nostra società, questa potrebbe sembrare una

mania, un problema, mentre ai loro sensi e per le loro menti, tutto ciò era semplicemente quello che

avevano sempre voluto e ciò che avrebbero voluto ancora per tanto tempo.

Come sarebbe possibile giudicare un amore così viscerale, così spontaneo, che ha abbattuto

frontiere, limiti temporali, ostacoli, muri e addirittura la morte?

Se l’esigenza era il condividere ogni istante, ogni sensazione, ogni opinione, tutto il tempo vissuto,

sarebbe giusto vedere questo come una malattia, come qualcosa da curare, evitare o ostacolare?

Ne erano coscienti entrambe, ed entrambe avevano già preso la stessa decisione.

Si guardarono un’ultima volta, sorridendo. Gli occhi di uno erano fissi sugli occhi dell’altra. Le

vibrazioni si percepivano come un magnetismo ineguagliabile, che anche la lancetta della bussola

sarebbe impazzita nel ritrovare il polo nord.

I respiri erano ormai all’unisono e le anime già si stavano abbracciando, nei piani sottili. Tanto che

insieme, allungando le mani verso l’altro e sfiorandosi le dita, sussurrarono all’unisono:

“Rifacciamolo…”.

Di Fabio Valerio

@erofaalbivio

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