Un giorno lento (puntata 16)
GIRO GIRO TONDO
“Ma lo sai che ci sono i fantasmi?”.
Questo, ormai, era il mantra che circolava in paese.
Ma io ero così curioso…
Ogni volta che ci andavo, ogni volta che avevo un attimo di tempo, mi sembrava di viaggiare nel tempo, di tornare in un’epoca passata, dimenticata. Eppure io lì mi sentivo a casa.
Mia madre non voleva frequentassi quei posti, diceva che c’erano presenze maligne, che presidiavano quel luogo e che, proprio a causa di queste, il villaggio si era ridotto a una coltre di polvere.
In effetti, tutte le volte – e ripeto tutte – che facevo visita a quei luoghi, mi sembrava di sentire sibili strani, suoni di civiltà o addirittura voci in lontananza. Ma il villaggio era ormai disabitato da parecchio.
Gli anziani narravano che all’epoca vi abitasse una pacifica comunità di commercianti, in grado di autosostenersi l’un l’altro in pace, ma che fu costretta ad abbondare le abitazioni a causa di siccità, uragani e malattie. Tutte accadute in un susseguirsi di eventi negativi, scaturiti – si dice – dall’arrivo di una piccola bambina che avrebbe dovuto incarnare il maligno e che portò con sé disgrazia e desolazione.
Ma io a queste credenze non ho mai dato credito. E poi noi siamo gente di città, mica veniamo dalla montagna del sapone…
Quanto mi attirava, quel posto, non riuscivo a descriverlo. Lo sapevano anche i miei amici che, come me, avevano grande curiosità. Una volta andammo in quattro o cinque, entrammo in tutte le porticine che trovammo accessibili e spostammo e studiammo tutti gli oggetti che ci trovammo davanti.
Mi ricordo che ci ritrovammo in una soffitta polverosa, forse l’unico locale sgombero di tutto il villaggio, dove cercammo, tramite riti inventati sul momento, di entrare in contatto con le famose entità che popolavano questi luoghi.
La cosa curiosa è che tutti sentimmo, a un tratto, un grande nervosismo pervaderci il corpo, tanto da decidere di non tornare per un bel po’ di tempo.
In ogni caso, paura o no, negatività o no, avevamo deciso. Eravamo un gruppo nutrito di giovani adolescenti e decidemmo, senza l’approvazione dei genitori, ovviamente, di scacciare via i fantasmi da quelle mura. Una ragazza del gruppo aveva ricevuto, da una sua zia, istruzioni sul come fare. Questa zia, che tutti chiamavamo “la gattara” era una donna un po’ particolare: toglieva il malocchio, conosceva il voodoo, leggeva le mani e le carte ecc… Dicevo, questa nostra amica aveva ricevuto istruzioni sul come poter scacciare il male dalle case; ci servivano solamente 12 sassi, una candela, una brocca d’acqua e qualche monetina.
Lo scopo era ripulire il villaggio dalle entità negative e lasciare che “i buoni” potessero continuare a soggiornare pacificamente lì.
Io mi sentivo fortemente in connessione con questo posto e, chissà per quale motivo, ero sicuro di dover fare qualcosa per migliorarlo. Io lì mi sentivo a casa!
Ci organizzammo, così, una mattina e ci posizionammo proprio a ridosso dell’entrata del villaggio, tutti seduti a terra. Ognuno aveva le monetine, la candela era accesa e i sassi erano disposti in cerchio. Sembrava stessimo giocando a giro giro tondo e un po’ ci sentivamo ridicoli, ma proseguimmo. Per me era importante…
Proprio quando giungemmo al momento di tirare le monetine nella brocca d’acqua, però, un signore di mezza età ci balzò contro, sbucando all’improvviso, facendoci urlare tutti dallo spavento. Strillò in malo modo e fece anche per colpirci, fino a che non fummo costretti ad abbandonare il rito e allontanarci.
Lo riguardai un’ultima volta prima di allontanarmi del tutto, era ancora lì che ci osservava e fu in quel momento che lo riconobbi, era un nostro compaesano.
“Ci penso io!”, poi disse quando eravamo in lontananza, “Ci penso io, anche per te!”.
Sentivo, ne ero certo, che quell’ultima frase fosse diretta a me e, provando una sensazione di rilassatezza, sorrisi. Sorrisi, convinto in cuor mio che il signor Ben avrebbe fatto quanto gli sarebbe stato possibile, per salvarci tutti.
A cura di Fabio Valerio @erofaalbivio