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Il testo descrittivo

Descrivere significa rappresentare con le parole sia la realtà che ci circonda (persone, luoghi, animali, oggetti), sia il mondo della fantasia (principi, castelli incantati, eroi ecc…).

La descrizione può essere soggettiva o oggettiva.

Se si scrive per informare, il linguaggio deve essere tecnico, di tipo denotativo, privo di considerazioni personali. Questo tipo di testo è tipico dei manuali scientifici ed è caratterizzato da:

• uso della terza persona;

• uso del tempo presente o dell’imperfetto (proprio della descrizione);

• uso di tecnicismi e di un linguaggio settoriale (linguaggio scientifico, burocratico, tecnico…);

Se si scrive per esprimere sentimenti, si fa uso di una descrizione soggettiva. In questi testi traspaiono emozioni, sensazioni, impressioni, giudizi e gli stati d’animo di chi descrive. Anche in questo caso si predilige un linguaggio di tipo connotativo. Questo linguaggio è caratterizzato da:

• uso della prima o della terza persona;

• uso del tempo presente oppure dell’imperfetto;

• un lessico carico di suggestioni in cui le parole assumono un valore emotivo;

• un lessico ricco di aggettivi qualificativi, sostantivi alterati e di verbi come parere, sembrare, apparire…;

• ricorso frequente alle similitudini, alle metafore ed altre figure retoriche;

• uso di interiezioni ed esclamazioni.

Di seguito l’incipit del primo capitolo de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni. Quanto descritto è un passaggio descrittivo.

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro dell’acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna. Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d’oggi, e che s’incammina a diventar città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l’onore d’alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell’estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l’uve, e alleggerire a’ contadini le fatiche della vendemmia.”

Di seguito un estratto delle prime pagine di “Momo” di Michael Ende, in cui è possibile leggere una descrizione realistica ed efficace, grazie all’uso intelligente degli aggettivi.

Un giorno fra la gente corse voce che da poco tempo qualcuno era venuto ad abitare nelle rovine. Molto giovane, una bambina, si supponeva. Non si poteva dirlo con esattezza perché vestiva in modo abbastanza bizzarro. Si chiamava Momo o qualcosa di simile. L’aspetto di Momo era davvero insolito e forse poteva allarmare quelle persone che danno molta importanza all’ordine e alla pulizia. Era piccola e magrolina, di modo che, anche con la migliore buona volontà, non si poteva decidere se avesse otto oppure dieci anni. Aveva una testa ricciuta nera come la pece, palesemente mai sfiorata da pettini o forbici. Aveva grandi vividi meravigliosi occhi del pari neri come la pece, e i piedi dello stesso colore perché andava quasi sempre scalza. Soltanto in inverno, e non sempre, portava scarpe, spaiate di colore e di forma e per di più troppo larghe. Perché Momo non possedeva niente all’infuori di quel che trovava qua e là o che le regalavano. La sottana, che le arrivava alle caviglie, era un complesso di toppe variopinte di tessuti d’ogni genere. E sopra la gonna portava una vecchia giacca maschile lunga e larga, con le maniche di molto rimboccate ai polsi: Momo non voleva accorciarle perché era previdente e sapeva che sarebbe cresciuta ancora. E chissà se mai avrebbe potuto trovare un’altra giacca così bella e con tante tasche così pratiche.”

Prova ad esercitarti o fai esercitare i tuoi alunni sul testo descrittivo:

  1. Scegli una persona che conosci molto bene e descrivila, partendo dal basso verso l’alto.
  2. Descrivi la stessa persona da un punto di vista soggettivo.
  3. Scegli un animale domestico che conosci bene e descrivilo.

Poni particolare attenzione ai cinque sensi, sono indispensabili per la riuscita di un buon lavoro.

Prof.ssa Alessandra Ercolino

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