"Uno sguardo altro"Articoli

Dio è un matematico?!

Il grande Galileo ha detto che Dio ha scritto il libro della natura nella forma del linguaggio matematico. Lui era convinto che Dio ci ha donato due libri: quello della Sacra Scrittura e quello della natura. E il linguaggio della natura – questa era la sua convinzione – è la matematica, quindi essa è un linguaggio di Dio, del Creatore. Riflettiamo ora su cos’è la matematica. Di per sé è un sistema astratto, un’invenzione dello spirito umano, che come tale nella sua purezza non esiste.[…] Mi sembra una cosa quasi incredibile che una invenzione dell’intelletto umano e la struttura dell’universo coincidano: la matematica inventata da noi ci dà realmente accesso alla natura dell’universo e lo rende utilizzabile per noi. Quindi la struttura intellettuale del soggetto umano e la struttura oggettiva della realtà coincidono: la ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura sono identiche. Penso che questa coincidenza tra quanto noi abbiamo pensato e il come si realizza e si comporta la natura, siano un enigma ed una sfida grandi, perché vediamo che, alla fine, è “una” ragione che le collega ambedue: la nostra ragione non potrebbe scoprire quest’altra, se non vi fosse un’identica ragione a monte di ambedue.” è una affermazione estrapolata dall’incontro di Benedetto XVI con i giovani della diocesi di Roma in preparazione alla giornata mondiale della gioventù del 6 aprile 2006.

Il titolo di questo incontro, invece, rimanda al saggio non di un teologo ma di un astrofisico, Mario Livio, che opera presso lo Space Telescope Sience Institute ma che, pur non essendo un sottile teologo come il Papa emerito, sembra condividere il medesimo pensiero. In ogni caso da sempre matematica e fede camminano di pari passo, anche quando qualche poco lungimirante esponente dell’Inquisizione si è trovato a contestare quello che, ben più accortamente, Ratzinger ha interpretato come un inno a Dio espresso da Galileo. Ci bastino pochi rimandi storici: la descrizione che Empedocle offre di Dio è sintomatica: “La natura di Dio è un cerchio il cui centro è ovunque e la cui circonferenza non è da nessuna parte”. È rilevante, a mio modo di vedere, sottolineare come tale affermazione sia attribuita anche a Nicola Cusano, Ermete Trismegisto e Pascal. Lo stesso Platone afferma che “Dio geometrizza sempre” ed anche che “La conoscenza che la geometria cerca è quella dell’eterno“. Tutto il pensiero filosofico occidentale segue la via indicata dai maestri, fino a Cartesio e a tutta la tradizione ottocentesca per arrivare alle parole di Benedetto XVI anche se è interessante riflettere sull’aforisma di Charles Darwin: “Il matematico è come un cieco vestito di nero che cerca in una stanza buia un gatto nero che non c’è” che nella rivisitazione di Bertrand Russell diviene: […] un teologo è l’uomo che riesce a trovare quel gatto”. Possiamo ora passare al cuore di una questione fondamentale: la matematica è stata inventata oppure scoperta? Questione che divide i matematici del XX secolo in due grandi scuole. Tegmark, per esempio, sostiene che “il nostro universo non è soltanto descritto dalla matematica: è la matematica”; Kasner e Newman nel loro saggio “Matematica e immaginazione” esprimono un opposto punto di vista, mentre Changeux si chede “Come può uno stato fisico, interno al nostro cervello, rappresentare un altro stato fisico esterno ad esso?”

Non è certo immaginabile poter offrire un’argomentazione esaustiva su una questione tanto complessa nelle poche righe di questo breve scritto, ci basti tentare un approccio che lasci spazio a un provocatorio “sguardo altro”. Credo che una riflessione secondo un gravido paradigma sia porsi l’interrogativo intorno al concetto di “Funzionare”. Intendo dire che tutto l’argomentare relativo alla geometrizzazione o matematicizzazione dell’universo risponde all’interrogativo intorno alla domanda “come funziona”? Cioè se lo strumento “geometria-matematica-logica”, creato o scoperto che sia, risponda alla domanda e riesca a spiegare come funziona l’universo e a funzionare come strumento per conseguire la risposta. Insomma, per tornare all’argomentazione classica (Platone Cartesio Ratzinger) se lo strumento è in grado di spiegare è perché il funzionamento dell’oggetto studiato è strutturato secondo le medesime possibilità dello strumento generato per comprenderlo. Per dirla in termini hegeliani, poiché il reale è razionale e il tutto è reale e razionale e l’uomo è dotato della ragione ecco che il cerchio fonda e conferma l’approccio logico razionalistico e, di conseguenza, scientifico. Sembra complicato, ma risponde più semplicemente alla descrizione dell’essere umano creato da Dio a sua immagine e somiglianza, ovviamente non si tratta di caratteristiche fisiche (maschio, femmina, bianco, giallo, bello, alto etc) ma dell’unico elemento costante in ogni umano: il pensiero, quello stesso che sommamente appartiene al Creatore e, in una forma particolare, al creato e, quindi, all’uomo. Ma torniamo al verbo funzionare.

Il verbo funzionare prevede un progetto e un progettista, facciamo un esempio. Il telecomando per la televisione funziona nel momento in cui intendo cambiare un canale, è stato progettato per quello e in quel senso funziona, sarebbe non funzionale al mio tentativo di radermi, ma io che ho imparato a usare il mondo intorno a me come opportuno, lo impiego per il suo scopo, la ragione che lo ha concepito è identica a quella dell’utilizzatore. Sarebbe logico presumere che, una volta compreso il funzionamento dell’universo, l’uomo abbia celebrato il senso del progetto dell’universo stesso ed il proprio. Ma se il meraviglioso ingranaggio cosmico mutasse le sue regole? Se le attuali fossero solo contingenti? Se improvvisamente scoprissimo che ciò che abbiamo pensato come totalità altro non fosse che ciò che riusciamo a percepire? Se ciò che percepiamo rispondesse ad un ordine pensabile solo perché le nostre percezioni si organizzano secondo le medesime regole ma nulla hanno a che fare con l’essenza della materia oscura, dell’antimateria o di ciò che nemmeno è materia? Insomma, se tutti fossimo dotati solo di un fiasco nel quale fare esperienza di acqua, sarebbe lecito affermare che l’acqua ha la forma di un fiasco?

Quante domande, ma quella che maggiormente mi assilla è: “È mai possibile che il grande progettista mi abbia collocato in questo universo al solo scopo di verificare se riesco a comprenderlo? Sono solo un esperimento anche se, forse, e rimarco pesantemente il forse, dotato di libero arbitrio? Sarebbe questo l’atto d’amore del mio inventore, rendermi uno degli interpreti del palinsesto di uno dei suoi canali televisivi? E se invece così non fosse e non ci fosse alcun progetto, se fosse solo l’urgenza escatologica che mi assilla a mostrarmi il mondo in quest’ottica?” In ogni caso: che magia la capacità dell’essere umano di porsi simili interrogativi.

a cura di Ferruccio Masci

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