Ero alla casa di campagna e osservavo questo grande albero, alto, molto alto. Il vento muoveva le foglie dei rami più alti, che superavano di un po’ la sommità della casa. Un noce, che cresce in modalità sopravvivenza, senza intervento alcuno di potature, concimature, diserbanti o fertilizzanti. Un imponente tronco che sorregge decine di rami, che ogni anno, nello stesso periodo, si riempiono di ovuli verdastri che racchiudono le noci, che io adoro.
Nel mentre l’osservazione e la contemplazione si addentrava verso l’immaginazione, passò di lì mia suocera, che ad un tratto disse: “mio padre diceva sempre che chi pianta noce, non mangia noci”. Questo è dovuto al fatto che il noce deve crescere per molti anni, prima di dare sufficienti frutti.
A quel punto mi è sorta una domanda, che ha lavorato fino ad oggi: come mai un qualsiasi contadino, anche se avesse 90 anni, pianterebbe comunque un albero, del quale quasi sicuramente non mangerà i frutti?
Oggi, dopo alcuni mesi, mi sono risposto. Se tutti la pensassero così come ho pensato io, cioè se ognuno di noi facesse qualcosa solo per ottenere i frutti, nessuno potrebbe mai godere di questi frutti. Il contadino ha ancora la voglia di piantare un albero, non per mangiare lui stesso i frutti, ma perché sa che qualcun altro ne godrà. Lavora, quindi, per creare, non per guadagnare, in questo caso.
Allora mi sono posto un’altra domanda, che forse mi riguarda più da vicino: continuerei a fare il lavoro che faccio, la mia attività, se non ricevessi dei frutti? In pratica, faccio un lavoro così aggradante, che mi possa impegnare anche se non ottenessi in cambio un guadagno monetario?
Una delle cose che più mi interessano, durante questa esistenza, è alzarmi la mattina sapendo di star facendo qualcosa che mi realizzi, anche se non dovessi avere il guadagno sperato, anche se non dovessi riuscire a fare tutto quanto il prefissato, anche se dovessero insorgere problemi, o crisi. Alzarmi ogni mattina, con la voglia di fare ciò che mi sono prefissato di fare. Rendere, quindi, la mia attività quel qualcosa che mi renda felice di mettermi in moto, tutti i giorni.
Da qui, allora, sorge un’altra domanda, più complessa: è giusto occupare gran parte della propria vita facendo un lavoro che, sì, ci porta guadagno, ma che in realtà non ci piace o non ci soddisfa? Non sarebbe più giusto scegliersi un mestiere o un’attività in base al piacere, più che per la retribuzione? O ancora meglio: non sarebbe più giusto impegnarsi al massimo per far diventare sufficientemente remunerativa, quell’attività produttiva che ci piace praticare, piuttosto che impegnarsi tanto in un’attività che non ci piace per nulla e che ci lascia poco tempo libero, senza alcuna possibilità di creazione?
di Fabio Valerio
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